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livello difficile.
ARGOMENTO: LOGISTICA
PERIODO:XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Logistica
Va ribadita e, se necessario, chiarita, la missione delle Forze Armate, che consiste nella produzione di sicurezza da garantire agli assetti strategici del Paese [1] e consolidare le fondamenta per favorire la crescita e la stabilizzazione del sistema economico che DEVE rimanere concorrenziale ed appetibile per attrarre gli investimenti dall’estero.
A differenza di quanto immaginato da Einaudi, siamo molto lontani dall’apprezzare pienamente la situazione geopolitica ed economica attuale, aspetto che preclude qualsiasi capacità di proiettare con buona approssimazione ipotesi valide per il futuro; una superficialità e spiccata inconsapevolezza fanno ritenere, da una maggioranza poco silenziosa, che le condizioni attuali siano consolidate, garantite acriticamente e dunque facilmente perpetuabili.
Senza considerare che la contemporaneità è frutto nel bene e purtroppo anche nel male di quanto allestito in precedenza; si tratta, in sintesi, di prendere coscienza dell’evoluzione di realtà connotate da equilibri labili e rotte da correggere costantemente.
Al netto di considerazioni e prese di posizioni sterilmente ideologizzate, industria della difesa e cantieristica, fondamentale per un Paese marittimo come il nostro, sono funzionali al raggiungimento di sicurezza e stabilità, grazie anche ad un costante mantenimento di eccellenza prolungata nel tempo per mezzo di un’ampia gamma di prodotti, sistemi, servizi e soluzioni integrate.
I livelli su cui intervenire sono quindi due: in primo luogo la difesa del Paese da potenziali minacce, esterne e interne; in secondo luogo l’azione indiretta di “soft power”, quale strumento geopolitico che promuove immagine e reputazione del Paese nel mondo favorendone performance indirizzate all’esportazione.
Il sistema industriale della difesa, abbinato alla sinergia assicurata dall’eccellenza mondiale nella cantieristica e dalla partecipazione della FA, consente di aprire ad un ruolo strategico per il sistema-Paese per il trasferimento di benefici e benessere verso altri settori, tenuto conto del fatto che proprio la cantieristica genera un fatturato non condizionato da importazioni di componenti o tecnologie terze, ma che non ha il pregio di godere di una strategia di sviluppo di lungo termine condivisa tra le diverse forze politiche. Lo Stato preserva dunque il mantenimento dell’industria della difesa determinando il bisogno dei beni necessari.
L’industria navale non è delocalizzabile, aspetto fondamentale sia per il ruolo strategico che per lo sviluppo economico; genera valore aggiunto in termini di esportazione, anche sotto l’aspetto tecnologico; privilegia il potenziamento piuttosto che la riconversione. La logica conseguenza è la completa dipendenza dell’industria militare dal Governo, non solo finanziatore ed utente ma anche promotore in termini strategici ed economici di successo.
Aspetti Generali
Il compito di ogni Stato dovrebbe consistere nel garantire la sicurezza in generale, al fine di consolidare un presente atto a garantire un futuro sostenuto dagli investimenti, un’impresa frutto del lavoro avveduto di generazioni.
L’industria della difesa, con una cantieristica navale avanzata ed in sinergia con la Marina Militare, è indispensabile per una paese marittimo come l’Italia per il mantenimento di questa sicurezza, grazie alla gamma produttiva ed alle soluzioni integrate volte al consolidamento di due elementi chiave: la difesa nazionale ed un’azione di “soft power” che rafforzi geopoliticamente la Nazione e ne agevoli le esportazioni, senza importazioni di componentistica o tecnologia.
È dunque interesse strategico nazionale continuare a disporre del sistema cantieristico italiano, tra i primi al mondo specialmente per la componente di superficie, con la Marina Militare al fianco e non solo come cliente. Il problema attualmente risiede nel non aver improntato strategie di sviluppo a lungo termine, nonostante la presenza costante dell’industria della Difesa capace di assicurare tecnologie avanzate negli ambiti del settore.
È fondamentale che il sistema-Paese elabori una visione di lungo termine precisa e condivisa per il settore, in modo più ampio possibile tra le diverse forze politiche, che garantisca stabilità nel tempo e una programmazione non tanto e non solo degli investimenti ma soprattutto del supporto alle esportazioni congrua e funzionale al raggiungimento di tale visione. È sempre lo Stato il decisore del vincolo del mantenimento dell’industria della difesa, ovvero in quale misura il Paese abbia bisogno di “beni” per la Difesa, intesa nel senso più ampio delle necessità e dei servizi.
L’ industria che presta servizi alla difesa, ed in particolare l’industria navale come concepita ed oggi fortunatamente strutturata in Italia, è un’industria non delocalizzabile, fondamentale non solo per il ruolo strategico ma per lo sviluppo economico, con la sua generazione di valore aggiunto in termini di esportazione.
Il tema del suo potenziamento, piuttosto che di riconversione, è da ascrivere alla politica generale di sviluppo economico, non solo della Difesa. Da ciò̀ si deduce la totale dipendenza dell’industria militare dal Governo. Ritengo che il Governo, abbandonando il relativo concetto di semplice finanziatore/utente, deve passare a quello di promotore al fine di godere degli effetti economici oltre di quelli strategici. I primi derivanti da un settore trainante e di diffusione/applicazione di nuove tecnologie. Un Settore che non solo richiama ma a sua volta genera manodopera altamente qualificata, da considerare e difendere rispetto a qualsiasi demagogica richiesta di riconversione che rende sterile, rischiosa, dispendiosa e in alcuni casi difficilmente praticabile una tale visione, meno in un momento in cui è fondamentale una politica espansiva del lavoro.
Un’industria fortemente specializzata la cui flessibilità e la continua evoluzione, ancor oggi con possibilità di espansione, grazie ad una struttura organizzativa volta prima al prodotto e da questo al mercato. Peculiare sicuramente è anche il bene il “bene difesa”, termine con cui si intende il servizio che eroga lo Stato direttamente ai suoi cittadini, che hanno l’esigenza di essere protetti e di sentirsi in sicurezza. Il bene è assimilabile alla categoria dei beni pubblici puri in quanto l’unico erogatore è lo Stato che si serve dei soldi pubblici per farlo, senza escludere nessuno dalla fruizione del bene.
In Italia, il fenomeno ha la peculiarità di aziende collocate in poli (cluster, o distretti industriali) tra l’altro concentrati in aree che hanno avuto in passato crisi o minime alternative di lavoro e benessere, circoscritto. All’interno del polo si sono esponenzialmente sviluppate attività ed aziende collaterali (il cosiddetto indotto) alla produzione militare, che la supportano, pur non producendo direttamente prodotti commissionati dalla Difesa, ma applicando il know how ad altre produzioni, con ulteriore generazione di valore aggiunto.
Nella valutazione dell’industria navale e militare è difficile ponderare in termini economici tutte quelle imprese che pur dedicate alla produzione commerciale, non volendo definire civile, supportano la produzione militare. Si tratta di un benessere, di un supporto strutturale, che coinvolge l’intero sistema produttivo e distributivo che riscontra un’alta percentuale di successo.
La produzione militare dell’industria navale è un enorme “polmone”, un moltiplicatore di lavoro non solo della stessa industria cantieristica, tradizionalmente e strutturalmente soggetta a cicli, e non è solamente subordinata alla richiesta di sicurezza da parte dei cittadini, ma anche al contesto storico e geopolitico. Uno Stato infatti è strettamente interconnesso con gli altri attori statali ed ancor di più con le alleanze che vengono stipulate, come la NATO, tra Stati che si impegnano a coordinare le proprie politiche di difesa, con conseguenze che hanno ripercussioni sulla produzione delle aziende e quindi sulla spesa pubblica da destinare alla difesa. Le risorse pubbliche, nazionali, regionali ed internazionali, destinate alla sicurezza variano al mutare delle condizioni interne ed esterne allo Stato interessato; sono le contingenze che una corretta visione geostrategica dell’Italia ed una politica di proiezione permettono ti trasformare in lavoro, in produzioni non solo puntuali ma stabili.
E’ importante avere chiaro il panorama storico in cui si è trovata ad operare l’Italia. Con un’analisi storica si possono comprendere meglio le scelte dell’Esecutivo, spesso dettate, oltre che dal motivo economico, anche dalle tendenze internazionali in merito alle politiche di Difesa, ed evitare pericolosi scivoloni e politiche ed interventi rumorosi e demagogici che segnerebbero un pericolo regresso nello sviluppo industriale della Nazione. Il tema della riconversione bellica viene affrontato soprattutto al termine di una guerra, quando molte industrie che prima del conflitto armato producevano beni civili, convertite poi per l’industria pesante, tornano alla loro produzione originaria. Anche in Italia, alla fine delle due guerre mondiali, molte industrie furono riconvertite. Ai fini della presente trattazione è sufficiente riferirsi all’immediato secondo dopoguerra.
Una panoramica più generale della logistica, porta ad una valutazione dell’ambito civile; malgrado sia nata in ambito militare, l’evoluzione delle attività commerciali ha portato ad una sua ottimizzazione nel parallelo mondo civile: non a caso Giovanni Agnelli, fondatore della FIAT, non convocava consigli di amministrazione, ma riunioni di Stato Maggiore. A partire dall’inizio del nuovo millennio si è sviluppata una serie di studi che si sono diffusi in ambiti tradizionalmente scollegati dalla logistica tradizionalmente intesa. Se le discipline normalmente chiamate in causa erano di solito di estrazione tecnica, ultimamente la logistica ha assunto i tratti di una categoria analitica applicata anche in sociologia, antropologia o storia. La logistica sta dunque perfezionandosi come strumento d’interpretazione per i cambiamenti che attraversano un presente caratterizzato dal capitalismo a filiera, e dalla crescente ascesa di vettori come Amazon. La logistica si definisce anche attraverso la costruzione di infrastrutture e spazialità inedite, che interagiscono e confliggono con il corrente assetto geopolitico[2], per cui sembra possibile affermare che la logistica fa politica e rappresenta la costituzione materiale della globalizzazione.
Porti, interporti, autostrade, ZEE, gasdotti, oleodotti, ferrovie formano l’intelaiatura delle supply chains globali [3]Cercherò di dare un quadro sintetico che evidenzi i possibili punti di contatto tra le varie realtà. Le Forze Armate ricevono risorse pubbliche, non una previsione di profitto in termini di capitale; il titolare dell’Azienda Stato chiede una produzione in termini di sicurezza e garanzia di mantenimento e preservazione degli interessi nazionali; l’AD è un volano di attività finanziarie e commerciali che sostengono l’azione politico economica del titolare dell’Azienda; l’AD dispone di strutture di immagazzinamento e distribuzione, unitamente ad un sistema di trasporto; l’azione aziendale è rallentata nelle decisioni che deve assumere da un sistema contabile ed amministrativo rigido. Ora compariamo. L’aumento della domanda di beni/servizi e della concorrenza sui mercati, l’introduzione di beni di breve ciclo di vita, di nuove tecnologie di comunicazione/trasporto, hanno indotto le imprese a rivedere i processi produttivi e di fornitura investendo sulle attività logistiche, con un’organizzazione efficiente dei flussi e delle loro informazioni.
La Logistica
Logistica deriva dal greco logistikon (scienza del calcolo) e dal francese loger (allocare); da qui la definizione classica operativa che trova nella logistica la funzione che assicura che i beni o servizi giusti si trovino nel posto e nel momento giusti, nei giusti assortimento, quantità, condizione di presentazione ed al minimo costo. La logistica dunque studia procedure e metodi volti a pianificare e controllare i flussi dei materiali e le relative informazioni nelle imprese produttrici/distributrici di beni, in quelle erogatrici di servizi, nonché in quelle militari.
Ovviamente assorbe risorse finanziarie, materiali ed umane con un notevole impatto sulla competitività: nei paesi industrializzati l’incidenza complessiva delle attività logistiche sul PIL è tra il 10 ed il 15%; nel settore industriale che produce beni di basso valore unitario, i costi logistici sono paragonabili a quelli della manodopera. Le attività logistiche incidono quindi sul costo di un bene/servizio.
La logistica diventa dunque la capacità di gestire i flussi di materiali/prodotti dal fornitore delle materie prime verso l’utilizzatore finale del bene o del servizio. In passato la logistica si riferiva alla gestione produttiva finale (logistica distributiva), quindi con funzione tattica. La distribuzione è un servizio, ha un costo e non produce profitto. Anche la logistica degli approvvigionamenti rientra nella gestione dei flussi di materiali; dunque non è più possibile scindere le funzioni di approvvigionamento, produzione e distribuzione, poiché si integrano all’interno della catena produttiva e distributiva. I sistemi logistici di produzione e distribuzione si compongono di nodi logistici, dove vengono svolte attività di trasformazione di materie prime e trasferimento presso magazzini dove avviene lo stoccaggio per il successivo trasporto ai rivenditori. Per ridurre i costi aumentando il livello del servizio, le strategie logistiche considerano le interazioni tra i diversi attori del sistema completo, definito catena logistica. Il passaggio di materiali deve essere corredato da un flusso di informazioni e di cassa in senso contrario, dall’area delle vendite (previsioni, piani, ordini dei clienti); le informazioni risalendo la catena logistica influenzano e determinano programmazione, ciclo produttivo, piano di approvvigionamento delle materie prime. L’obiettivo delle imprese è dunque la gestione della rete logistica (supply chain management SCM); si ha dunque un processo di pianificazione, implementazione e controllo di flusso ed immagazzinamento di beni, servizi ed informazioni da punti di origine a punti di consumo dove non ci si può limitare a trattare separatamente la gestione materiali in funzione dei livelli di produzione, e la gestione della distribuzione in funzione del marketing. Occorre dunque poter disporre di una gestione integrata/coordinata di tutta la catena logistica per ridurre i costi e/o migliorare il livello del servizio. Le imprese quindi procedono a decisioni strategiche con effetto a lungo termine e che includono decisioni su numero, localizzazioni, capacità dei magazzini e degli impianti, sul flusso dei materiali all’interno della rete; decisioni tattiche, con effetto a medio termine e che includono decisioni sugli acquisti delle materie prime, sulle politiche di inventario, sulle strategie di trasporto; decisioni operative con effetto immediato che includono decisioni relative alla schedulazione delle operazioni, al routing ed al caricamento dei veicoli.
Vanno evitate le diseconomie causate da una visione frammentata che si riscontra analizzando il costo operativo logistico rispetto al fatturato complessivo dell’azienda (diversificazione dei prodotti, influenza dei costi logistici). La logistica diventa branca della scienza dell’organizzazione che consente di ridurre i costi aziendali assicurando un alto livello qualitativo del servizio, secondo precise metodologie [4] per cui la logistica non è più solo distribuzione fisica ma anche gestione di flussi [5]. Nel ciclo di vita del prodotto vanno considerati anche i servizi di assistenza e di reverse logistics [6].
Le strategie produttive come il just in time, total quality management sono state impiegate per ridurre i costi di produzione secondo caratteristiche dinamiche. Oltre alla procedura del sistema MRP (Material requirement planning), che partendo dalla domanda di un prodotto finito determina la domanda dei tipi di materiali richiesti nonché la temporizzazione delle necessità, ha trovato spazio il Just in time and to the points, nato in Toyota negli anni ’70 per migliorare la produttività riducendo i costi, richiede il contenimento al minimo delle scorte dei materiali. Il JIT presuppone dunque un ripensamento del ciclo produttivo (fabbrica flessibile), con il rispetto delle specifiche richieste, e semplificando i metodi di lavoro secondo il principio della qualità totale. Le imprese sono dunque state spinte verso modelli organizzativi orientati al perseguimento di più elevati livelli di efficienza, flessibilità reattività, condivisione di informazioni nell’ambito strutturale allargato, cui concorrono fornitori e clienti, al fine di incrementare il vantaggio competitivo.
Una logistica intesa in senso più aderente alla realtà esterna, per quanto concerne gli aspetti militari, deve essere in grado di stabilire cosa e quando è necessario richiedere articoli all’impresa privata, adottando un concreto ed efficace sistema di controllo delle scorte [7] per il quale sarebbe da sempre stata auspicabile una preparazione specifica approfondita. Né aleatoria né tantomeno riservata a pochi eletti, peraltro spesso neanche successivamente destinati al particolare servizio. Una logistica capace di permettere analisi sui consumi, sulle modellizzazioni degli items e sulle conseguenti necessità di approvvigionamenti successivi, in stretta coordinazione con la componente amministrativa ma svincolata. Una componente non per questo meno importante ed ugualmente necessitante di personale al di sopra di qualsiasi commento.
Fine parte II – continua
Gino Lanzara
[1] Infrastrutture, linee di comunicazione e di rifornimento, assicurazione della produttività, mantenimento della conseguente “pace sociale”
[2] Via della Seta
[3] Molte di queste problematiche sono affrontate in due testi della geografa dell’Università di Toronto Deborah Cowen. Il primo, scritto assieme al geografo marxista Neil Smith, teorico del concetto di uneaven development
[4] gestione materiali, gestione della distribuzione fisica, logistica aziendale
[5] dei materiali, delle scorte, previsione della domanda, attendibilità dei dati, velocità e correttezza delle informazioni
[6] processo di pianificazione, implementazione e controllo dell’efficienza delle materie prime dei semilavorati, dei prodotti finiti e dei correlati flussi informativi dal punto di recupero (o consumo) al punto di origine
[7] Si ribatte sulla necessità di poter disporre di personale motivato, preparato, da poter gratificare. Si ribadisce l’inesistenza di una branca LOG, che pure sarebbe indispensabile e preziosa. Quali sono stati, negli anni, i principi di formazione del personale LOG? Come si è proceduto, concretamente e per davvero, alla scelta degli Ufficiali CM (Corpo di elezione LOG) da destinare alla parte Logistica? Quanti, dopo il corso, sono rimasti davvero a svolgere compiti logistici? Molto, molto, molto pochi.
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romano del ’65, Ufficiale in servizio della Marina Militare è laureato in management e comunicazione d’impresa e scienze diplomatiche e strategiche ed è specializzato in analisi geopolitica e sicurezza. Autore di numerosi articoli su riviste del settore, ha pubblicato un saggio sulla guerra economica. Specializzato sull’area MENA, collabora con testate online sempre in tema geopolitico.
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