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Principi e teoria degli scafi: dislocamento e stazza

tempo di lettura: 7 minuti

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livello medio

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ARGOMENTO: ARCHITETTURA NAVALE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA

parole chiave: Costruzione navale, architettura
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Un corpo immerso in un fluido riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto uguale per intensità al peso del fluido spostato “

E’ la fisica, con il Principio di Archimede, che ci fa capire come fanno a galleggiare le navi, ed in generale tutte le imbarcazioni. Dal punto di vista progettuale, i due parametri principali che hanno determinato un’evoluzione estetica, stilistica e tecnica delle imbarcazioni, soprattutto in questi ultimi due secoli, sono il dislocamento e la stazza. Uno scafo dislocante è quello che è più vicino a questo principio ed al concetto di “sostentamento”,  è come se fosse … un buco nell’acqua che sostiene lo scafo!!

Il dislocamento di una nave è la massa dell’acqua da essa spostata, il cui peso, moltiplicato per il peso specifico dell’acqua (variabile), è uguale al peso totale della nave stessa.

La peculiarità di uno scafo dislocante è di avere una velocità teorica massima di avanzamento, detta anche critica, data dalla formula:
Vm = 1,35 √(L) dove L è la lunghezza al galleggiamento dello scafo espressa in piedi e Vm la velocità espressa in nodi.

Il compito del progettista è quindi quello di ottimizzare le forme di carena su questi parametri, velocità e lunghezza . Non ci sono limiti di peso ma l’unica limitazione è la velocita raggiungibile legata alla lunghezza sull’acqua. Quindi una barca dislocante per essere più veloce deve aumentare la lunghezza.

Il dislocamento, definito come peso della nave, è il vero parametro basilare della progettazione, quello che incide su tutte le caratteristiche salienti di uno scafo: velocità, abitabilità, facilità e conducibilità di governo. La stazza, intesa come la “capacità” interna di una barca è misurata in volumi.

Il Dislocamento
Il peso di una barca
dunque influenza molti parametri che interagiscono con la navigazione e ne determinano le condizioni di spostamento. Da sempre due opinioni contrapposte si sono alternate su quale tipo di imbarcazione, pesante o leggera, potesse dare il meglio in navigazione a vela, per facilità di conduzione, velocità e sicurezza per viaggi a lungo raggio.

Il costruttore, oggi, si trova davanti alla necessità sempre crescente di produrre scafi performanti e veloci con una riduzione del peso complessivo della struttura, senza naturalmente sacrificare robustezza e sicurezza, adottando tecniche costruttive e materiali tecnologicamente avanzati. Ci sono quindi molte altre decisioni che devono esser prese e che influenzano il risultato finale, la qualità costruttiva, l’attenzione ai dettagli e la capacità di costruire interni adatti per le esigenze di ogni singolo armatore.

Il concetto di dislocamento (leggero o pesante) e di stabilità è stato modificato negli ultimi dieci anni grazie all’impiego, come nella produzione di serie, di materiali compositi, le fibre di carbonio o di kevlar, e l’introduzione di vele performanti. Le nuove tecnologie hanno infatti permesso la realizzazione di scafi a dislocamento leggero o addirittura ultraleggero (ULDB) altrettanto robusti e sicuri dei dislocamenti pesanti. Se è vero che le barche si vendono a chili, e anche vero che quelle di laminato pieno costano oggi assai meno di quelle di sandwich.

Un dislocamento leggero nella media è più facile da portare perché ha bisogno di meno vela e perché manovra meglio. Teoricamente ha meno abitabilità di un dislocamento pesante, in quanto presenta minori volumi in carena e una minore capacità di stivaggio, cammina meglio alle andature portanti, ma in bolina può battere e piantarsi sull’onda, specie contro quella corta del Mediterraneo. Al contrario una barca pesante con poco vento non sarà mai performante e quindi necessiterà sempre di un motore potente ed un armo velico altrettanto sviluppato. Un dislocamento medio-pesante può mediare i limiti tecnici di una o dell’altra impostazione, con linee d’acqua filanti ed un baglio massimo non troppo arretrato. La cosa importante è che lo scafo si sviluppi in modo corretto e proporzionale, privilegiando la navigazione a vela e una buona stabilità di rotta. Il tutto dipende ovviamente dall’uso che se ne deve fare e dal tipo di navigazione prevista.

Le tre barche illustrate rappresentavano l’estremo delle tendenze progettuali della fine del XIX secolo. La prima, barca americana (“skimming dish”_ disco che sfiora l’acqua) larga e piatta, e la seconda, barca inglese ( “plank of edge”_ tavola di costa) stretta e fonda. La terza (“Filou) è una fusione tra i due tipi che venne proposta dai tedeschi sempre in quegli anni.

«….. le barche si fanno secondo il materiale e il peso, non è che uno ha una forma e questa la può adattare a tutto: secondo il peso viene fuori la forma…..». Carlo Sciarrelli

La Stazza
La stazza rappresenta la somma dei volumi degli spazi interni, chiusi ermeticamente all’acqua, di una nave o di un natante o di un galleggiante di qualunque tipo. La sua unità di misura e la tonnellata di stazza, un’unita di volume corrispondente a 100 piedi cubi (2,832 metri cubi). Il metodo di calcolo e misurazione è stato aggiornato con l’entrata in vigore (1969) della normativa internazionale dell’IMO.

La Stazza (fr.: jauge; ingl.: rating), pur mantenendo sempre un significato di “grandezza” e di “capacità”, si divide nel tipo Legale come indice della potenzialita commerciale della nave e quindi di tassazione, o nel tipo Rating, concettualmente diversa e intesa come classificazione speciale del naviglio a vela da regata.

In entrambi i casi non esprime la proiezione di un volume percepibile ed intuitivo come tutti noi potremmo immaginare, ma rappresenta una misura convenzionale come risultato di calcoli algebrici ( spesso con riserva di segretezza _ vedi rating Irc, Orc … ) in un complesso formulario empirico di operazioni di misurazione e rilevamenti … per arrivare alla fine ad un numero!

La stazza lorda ( GT Gross tonnage ) comprende tutti i volumi interni della nave.

La stazza netta ( NT Net Tonnage ) corrisponde alla somma dei volumi di tutti gli spazi interni della nave utilizzabili per scopi commerciali (carico utile trasportabile)

La stazza di regata (rating) è stata inventata per consentire di valutare correzioni di tempo o di cammino e far gareggiare imbarcazioni a vela diverse per potenzialità e dimensioni mettendole in condizioni di parità in una stessa regata.

La fisica ci insegna che maggiori sono le dimensioni di una barca a vela, maggiore è la velocità che è in grado di sviluppare e la sua possibilità di tagliare per prima un eventuale traguardo! Quindi nel tentativo di compensare le minori capacità di correre di una barca rispetto all’altra, si pensò in un recente passato di inventare una formula per rappresentare e “numerare” la capacità di andar forte di una barca. In funzione dei “buchi” (restrizioni non previste ) presenti nelle varie formule, si sviluppò una rincorsa nei progetti degli yacht per cercare di aggirare le gabbie imposte dai vari regolamenti ( “fatta la legge, trovato l’inganno” e come dire “fatta la carena, trovato l’escamotage” ).

L’abilità dei progettisti favorì a volte gli slanci, a volte la superficie velica, a volte il pescaggio e così via. Le linee di carena, una volta teorizzate, venivano quindi compresse, piegate e infine deformate per essere incastrate proprio su queste regole.
Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è formula-del-calcolo-di-R.png

Tutto ciò è nato durante le prime regate veliche in Inghilterra alla fine del 1700, accorgendosi che tanto più uno yacht era lungo, tanto più era veloce e vincente. Per evitare una corsa al gigantismo e per consentire anche agli yacht più piccoli di competere fu introdotto un metodo di compensazione per tenere in considerazione le dimensioni degli scafi diversi durante una regata. Ricordiamo che nel passato e fin dagli inizi del primo millennio, le navi erano tassate secondo la capacita di carico, misurata secondo il numero di barili che potevano caricare. In Inghilterra, nel XIV secolo, il barile standard con cui veniva trasportato il vino veniva chiamato tun. Il numero di “Tun” che una nave poteva contenere veniva chiamato tunnage (tonnellaggio).

Misurando il volume di una tonnellata dei più diversi generi trasportati, dalle stoffe al vino, e vedendo che la media dei volumi tendeva ai 100 piedi cubi ( 2,832 metri cubi ), venne stabilita l’unita di misura: Tonnellata di stazza = 2,832 metri cubi. Questa misura si rendeva necessaria perché le navi in legno erano pezzi unici realizzate dai maestri d’ascia e ognuna aveva forma e capacità diverse per cui era difficile stabilire quanto la nave poteva trasportare, misura necessaria per le tassazioni e le assicurazioni dell’epoca.

Il concetto di stazza nasce quindi da diverse premesse, non certo di competizione e di appartenenza ad una classe di regata o di rating o per introdurre i tempi compensati o l’abbuono (vantaggio), ma in base alla stazza, come ancora oggi, con criteri e calcoli diversi, venivano stabilite la maggior parte della tasse e delle tariffe cui erano soggette le navi (premi assicurazioni, tasse portuali, tariffe visite RINA, tasse di ancoraggio, tariffe passaggi fiumi e canali di Panama e Suez).

Nel 1854 venne varata la prima formula studiata espressamente per gli yacht a vela da regata. Era la famosa “Stazza del Tamigi”, nota come T.M. (Thames Measurement). Nel corso degli anni si scoprì che la formula penalizzava troppo la larghezza spingendo alla progettazione di yacht con una larghezza la più ridotta possibile. Gli yacht veleggiavano al limite della stabilità, con un rapporto lunghezza/larghezza in continuo aumento tanto da arrivare ad imbarcazioni che a fronte di una lunghezza di 11 metri avevano una larghezza di soli m. 1,90 (“Plank of edge”).

Dopo diversi regolamenti e formule di stazza a cavallo tra il 1800 e i primi del 1900, si passò al RORC ( 1925 Royal Ocean Racing Club), poi al Regolamento IOR (1970 International Offshore Rule), cui seguì l’IMS (1988).  Oggi, due sono i sistemi di stazza più in vigore: IRC ( dal 1990 ), basato su un sistema semplificato di misurazione e rilevazione dei dati ( anche fai da te, senza intervento necessario dei costosi stazzatori) ed anche economicamente vantaggioso – ORC, molto più preciso ma più costoso e complesso nelle rilevazioni e calcoli.

ISAF, ORC, IRC, RORC, CCA, IOR, UNC, R = LOA + LWL 2 + ( I 0,7 ) + ( P 0,4 ) … A = ( 2160 R ) – 258,17… stazza statunitense, stazza inglese, stazza metrica … questa e la situazione attuale della vela d’altura, in Italia e nel mondo: una gran confusione ( per i non addetti ai lavori ) di sigle e numeri.

Fine parte II – continua

Sacha Giannini

 

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