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livello elementare
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ARGOMENTO: PESCA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OVUNQUE
parole chiave: pesca a strascico
Modus operandi
La pesca a strascico, a causa dell’impatto sull’ambiente e sul patrimonio biologico dei mari, è tra le principali cause dell’impoverimento ittico dei mari. Essa consiste nel trainare una rete da pesca sul fondo del mare tramite una o due barche. Le reti hanno generalmente una forma conica con una parte terminale (sacco) apribile per estrarre il pescato. La parte anteriore viene chiamata bocca mentre la parte centrale è detta ventre. Nella pesca a strascico effettuata da una sola barca, il tipo più comune, la rete è mantenuta aperta da strutture chiamate divergenti che hanno lo scopo di far divergere i lembi della rete. Le porte di ingresso possono avere forme diverse ed essere adattate a tenere la rete a contatto col fondo o sollevata da esso.
Il peschereccio, per poter strascicare, naviga ad una certa velocità, in genere di 2,5-4 nodi. La parte della bocca e delle ali che strascica il fondale è in genere armata di piombi e catene per muovere il sedimento e far venir fuori pesci ed altri animali che vi fossero intanati, mentre la parte superiore è dotata di galleggianti con lo scopo di tenere aperta la bocca.
Tipi di strascichi
Il tipo più comune di rete a strascico è la paranza, in origine manovrata da due imbarcazioni ma oggi in genere messa in pesca da un solo peschereccio. Un altra rete, di dimensione minore, è la sogliolara o sfogliara (o rapido); si tratta di una rete senza ali e dotata di una cornice rigida attorno alla bocca che, nella parte inferiore, è armata di denti per raschiare il fondo. Questa rete è impiegata principalmente per la pesca di pesci di fondo come sogliole, razze e molluschi come telline e vongole (per questo si chiamano a volte anche vongolare). Micidiale, anche se di dimensioni minori, è la gangamella, una piccolissima rete che viene lentamente strascicata di notte sulle praterie di Posidonia oceanica per la cattura di crostacei. Infine, la sciabica e lo sciabichello che hanno struttura simile alla paranza ma, dopo essere state rilasciate in mare da un’imbarcazione vengono poi salpate da terra.
Un peschereccio che traina una rete da pesca contenente centinaia di migliaia di merluzzi, un esempio di pesca eccessiva – Autore Asc1733Trawlers overfishing cod.jpg – Wikimedia Commons
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La pesca a strascico bentonica causa un notevole impatto sull’ambiente marino in quanto le reti distruggono il fondale lasciando, a volte per sempre, un ambiente devastato. Un esempio di impatto disastroso è quello subito dalle praterie di Posidonia oceanica, che possono essere totalmente distrutte anche con una sola passata. Al fine di evitare questo gravissimo impatto ambientale in alcuni Paesi, come ad esempio in Italia, si è deciso di vietare la pesca a strascico sotto costa (entro le tre miglia marine o al di sopra della batometrica dei 50 metri). Purtroppo questo divieto è spesso colpevolmente violato e di fatto crea danni irreparabili che minano le possibilità di pesca future nelle stesse zone.
Il problema delle zone di tutela biologiche
L’istituzione delle Zone di Tutela Biologiche, ovvero di aree chiuse alle attività di pesca più impattanti, costituisce uno strumento necessario per la tutela ed il recupero degli ecosistemi marini non solo in acque nazionali ma anche in acque internazionali (il mar Adriatico con i suoi bassi fondali ne è un esempio eclatante). Accordi bilaterali sono stati a volte firmati per salvaguardare aree sensibili. Ad esempio, in campo nazionale, fu emesso il decreto ministeriale DM 20 dicembre 2012 per lo “Svolgimento dell’attività di pesca con i sistemi a strascico e/o volante e circuizione nei giorni 21, 22 e 23 dicembre, 28, 29 e 30 dicembre 2012”. In campo europeo la soluzione non è altrettanto semplice e le lobby della pesca influenzano i lavori delle commissioni adducendo interessi nazionali che limitano una visione di insieme. Ad esempio, il 10 dicembre 2015, i funzionari europei respinsero un piano per vietare la pesca a strascico in acque profonde, ritenuto da molti distruttiva per i fondali ma ferocemente difesa dagli armatori Europei.
Il divieto è stato respinto con 342 a favore della pesca a strascico contro i 326 che avevano votato per la difesa dei fondali.
Un altro problema della pesca a strascico è la sua non selettività; di fatto questa pesca raccoglie tutto, sia le specie commerciali che quelle non commerciali, sia esemplari adulti che quelli giovanili. La cattura di specie o esemplari di nessun interesse commerciale prende il nome di bycatch ma può riguardare anche degli esemplari giovanili di specie pregiate e numerosi organismi che, sebbene non siano commestibili, sono importanti per la sopravvivenza dell’ecosistema marino. Prede occasionali sono anche le tartarughe marine che possono trovare una morte orribile tra le maglie delle reti. Si cerca di ridurre questo problema aumentando le dimensioni delle maglie della rete.
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Lo strascico illegale viene combattuto attraverso la sorveglianza (non facile per la carenza di mezzi) e dissuasori posti sul fondo (ostacoli di cemento che distruggono le reti – vedi immagine a lato). Un altro sistema di salvaguardia è l’istituzione dei periodi di fermo biologico (scelti durante i periodi riproduttivi del pescabile) in cui la pesca a strascico è ovunque completamente vietata in modo da consentire la riproduzione di questi animali. Il controllo è devoluto alla Guardia Costiera ed alle altre forze di polizia marittima (come Guardia di Finanza e Carabinieri) che con i loro mezzi esercitano un’azione di protezione dell’ambiente costiero. Ma la lotta non è facile a causa della vastità degli spazi marittimi e dal numero limitato degli assetti navali ed aerei delle forze di polizia realmente disponibili.
L’impoverimento della biodiversità che deriva da questa pesca illegale si affianca alla drammatica diminuzione degli stock alimentari disponibili. Uno studio condotto presso l’Università politecnica delle Marche dal Professor Antonio Pusceddu con il CSIC (Consejo Superior de Investigaciones Científicas, equivalente spagnolo del nostrano CNR) e l’Università Autonoma di Barcellona, “Chronic and intensive bottom trawling impairs deep-sea biodiversity and ecosystem functioning” (Continua ed intensiva pesca a strascico danneggia la biodiversità dei fondali marini ed il funzionamento degli ecosistemi), pubblicato dal PNAS.org., fornisce una valutazione del problema raffrontando il danno registrato nelle aree soggette a pesca intensiva con le condizioni ambientali di altri fondali marini esclusi dallo sfruttamento della pesca tradizionale.
La pratica della pesca a strascico risale al XIV secolo: da allora le tecniche si sono perfezionate e sono divenute sempre più efficaci. Abbiamo spesso parlato della necessità di una pesca sostenibile che tenga conto dei cicli naturali e non impoverisca le risorse. La preoccupazione sulla sostenibilità della pesca non è cosa nuova e fu sollevata sin dalla prima metà del secolo scorso. I rilievi effettuati nel canyon de La Fonera, a circa venti chilometri dalla costa catalana di Palafrugell, poco a Nord di Barcellona, hanno dimostrato che le aree nord-occidentali, che sono tra le più sfruttate dell’intero bacino mediterraneo, sono caratterizzate da una significativa diminuzione nel contenuto di sostanze organiche (fino al 52% in meno). Inoltre, si è valutato un più lento ricambio del carbonio organico (-37%), una riduzione (-80%) della meiofauna (ovvero la fauna che vive nel sedimento detto anche “fauna interstiziale”), della biodiversità (-50%), nonché nella ricchezza di specie dei nematodi marini (-25%), un gruppo di vermi posti alla base della vita dei fondali marini.
Conclusioni
In sintesi, la pesca a strascico costituisce quindi una grave minaccia per l’ecosistema dei fondali. Molte organizzazioni ambientaliste collaborano in maniera attiva con le Autorità locali per segnalare le violazioni delle regole di legge ma sembrerebbe che non sempre le loro proteste vengano soddisfatte. Va sottolineato che il problema non è limitato al bacino mediterraneo ma globale. In aree mediorientali lo sfruttamento da parte di compagnie (spesso non locali) ha causato danni irreparabili all’ambiente, distruggendo le economie costiere ed ha favorito l’instabilità politica locale. Ad esempio, in Somalia la giustificazione dei pirati catturati era che operavano per la difesa dei loro diritti di pesca esclusiva, spesso violati dalle grande compagnie di pesca estere che depredavano le loro acque territoriali. Un problema serio in cui l’ONU non ha preso posizioni decisive, sempre a causa degli interessi dei Paesi coinvolti.
Quindi se la necessità di una pesca regolamentata vale per il mar Mediterraneo vale altrettanto su scala globale per assicurare un futuro sostenibile alle nuove generazioni.
Per saperne di più http://www.savethehighseas.org/
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in anteprima vecchio schema di rete a strascico – Fonte e autore Joseph William Collins FMIB 37801 Trawl-Heads, Beam Mouth of Net, Etc – Shows How Bridles are Attached.jpeg – Wikimedia Commons
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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