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COP 26: un amaro accordo di “condominio” ma con qualche speranza

tempo di lettura: 6 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: EMERGENZE AMBIENTALI
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: CAMBIAMENTI CLIMATICI

parole chiave: Temperature, India, Cina

 

Si è appena concluso Il vertice di due settimane del COP 26 a Glasgow, mirato a porre fine e invertire la deforestazione, abbandonare il carbone e ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030. Un obiettivo ambizioso che si è però ridimensionato … vediamo il perchè.

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I ricercatori di tutto il mondo, con un consenso di quasi il 100%, sottolineano la necessità di ridurre le emissioni di gas serra il più rapidamente possibile. Sebbene i rappresentanti di Stati Uniti e Cina, i due maggiori emettitori al mondo, avessero inizialmente accettato di cooperare per impedire che il riscaldamento globale superi nei prossimi anni un aumento di 1,5 gradi Celsius, alla fine molte aspettative sono restate deluse.  Tra di esse le richieste dei Paesi in via di sviluppo (G 77) di ottenere un sostegno finanziario come risarcimento dei danni causati dal cambiamento climatico. A tal riguardo, nonostante le premesse, Stati Uniti, il Regno Unito e l’Unione Europea si sono dimostrati elegantemente riluttanti ad accettare la responsabilità di quanto sta accadendo.  

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In estrema sintesi, ancora una volta, un finale pieno di compromessi a causa di alcuni Stati che si sono arroccati dietro posizioni inconciliabili che porteranno grandi problemi ai Paesi più poveri ed a quelli più “sensibili” agli innalzamenti dei mari. Nessun risarcimento per i danni subiti dai più deboli e l'”aspettata” non adesione dei due giganti demografici, India e Cina (ma non solo), ad ottemperare alle riduzioni delle emissioni. Va compreso che, sebbene il COP 26 si sia chiuso con l’obiettivo di mantenersi sotto la soglia di aumento di 1,5 gradi Celsius, stabilita nell’Accordo di Parigi del 2015, esso non è vincolante per i maggiori inquinatori per cui è probabile che il loro non contributo renderà vano o trascurabile lo sforzo comune.

Un condominio litigioso
Con una metafora potremmo dire che il COP 26 è sembrato una riunione di condominio, tanti discorsi e pochi fatti … L’obiettivo era di far adottare a tutti i 197 Paesi partecipanti un nuovo Patto Climatico ma non ci sono riusciti. La Cina, la cui dinamica economica globale non sembra fermarsi, sfoderando un aplomb orientale, non ha ceduto sulle sue posizioni. Mentre i delegati discutevano, cercando una soluzione percorribile, Pechino ha annunciato di aver aumentato la produzione giornaliera di carbone di oltre un milione di tonnellate per allentare la crisi energetica. Un fatto reale che fa pensare.

A nulla sono valse le emergenze ambientali in corso nelle loro città e le supposte iniziative perseguite per ridurre le emissioni … di fatto la NDRC, National Development and Reform Commission cinese, responsabile della pianificazione economica, ha comunicato che la produzione media giornaliera di carbone è salita ad oltre 11,5 milioni di tonnellate dalla metà di ottobre, con un aumento di 1,1 milioni di tonnellate rispetto alla fine di settembre. Questo per necessità di sopperire ai gravi inconvenienti che hanno causato blackout e razionamenti di elettricità della catena produttiva, sollevando non pochi timori sulla supply chain. Ma non è sola, anche l’India, gigante demografico e anch’esso grande inquinatore, non ha voluto essere da meno ed ha fatto inserire all’ultimo momento un emendamento sul carbone che ha gelato i presenti, costretti ad accettare un boccone amaro pur di portare a casa una decisione comune. Il risultato è stato sconfortante e fa comprendere che il messaggio non sia arrivato … non si parla più di graduale «eliminazione» bensì di «riduzione» del carbone, principale fonte di emissioni di gas serra.

Di fatto il COP 26 è stata una mezza vittoria di India, Cina, Russia, Brasile, Sudafrica, Nigeria, ed altri Paesi emergenti … ma anche dei grandi produttori di combustili fossili, come Australia e Arabia Saudita, ed il futuro del pianeta appare sempre più incerto.

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Non si tratta solo di cecità ambientale. Siamo di fronte ad una nuda realtà che anticipa un futuro prossimo venturo di accesi contrasti. La Cina, come l’India, non si piegano alle pressioni diplomatiche, sanno che i numeri contano e non hanno nessuna intenzione di rinunciare alla loro autonomia decisionale; sanno molto bene che, al di là delle nine days news, tutto rientrerà nell’ipocrisia generale in pochi giorni. Che conta se milioni di persone moriranno a causa degli effetti dei cambiamenti climatici, se vaste aree costiere saranno invase dalle acque che distruggeranno le economie locali e provocheranno migrazioni di massa invadendo i Paesi limitrofi. Una bomba demografica che indebolirà le economie di possibili concorrenti commerciali, costretti tra sensi di colpa post colonialisti e differenti visioni umanitarie.

D’altronde questo gioco sporco è in uso da anni anche in Europa, favorito dalla globalizzazione: tutto inizia penetrando nei tessuti produttivi di Paesi socialmente instabili, distruggendo le piccole economie locali e proponendo soluzioni apparentemente vantaggiose che, di fatto, indebitano i Governi favorendo la corruzione e classi favorevoli ai nuovi padroni. Creando instabilità si costringono masse di disperati a migrare verso aree che possono in teoria offrire una qualità di vita maggiore. L’equazione non è semplice perchè la loro integrazione non è sempre facile. Sono politiche complesse e spregiudicate che hanno lo scopo di indebolire i Paesi di destinazione, economicamente pericolosi per gli altri. Situazioni alla luce del sole che vengono però mascherate da belle parole, concettualmente ineccepibili, ma che si riducono ad un insieme di bei propositi senza seguito che creano odio e intolleranza. Basta ricordare il ritornello ipocrita dell’Unione Europea per la gestione della migrazione verso la regione sud … dobbiamo … , faremo … , è di interesse comune … bla, bla, bla. Questa è un’altra storia amara, in cui non ci sono vincitori ma solo perdenti.

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scenari legati al surriscaldamento : sopra con un aumento del 0,5 °C sotto di 3 °C

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Il fallimento del COP 26 di Glasgow era aspettato. Lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres aveva percepito la mancanza di una volontà comune. Se Cina e Brasile avevano sempre dichiarato i propri interessi, l’India aveva invece dato qualche speranza, svanita poi all’ultimo momento. Non sarebbe la prima volta che Nuova Delhi abbia rinunciato ad entrare in accordi regionalmente rilevanti, come la RCEP, Regional Comprehensive Economic Partnership, un accordo di libero scambio tra le nazioni dell’Asia-Pacifico, mirante a ridurre le tariffe e la burocrazia per facilitare le catene di approvvigionamento internazionali ed il commercio all’interno della regione.

Un distacco quello indiano che conferma la sua politica di non allineamento, che sottolinea la volontà di mantenere una propria autonomia. Dalla sua indipendenza l’India si è sempre barcamenata a destra e a sinistra, tra le lusinghe dell’Unione Sovietica e le tentazioni a stelle e strisce. Nonostante la pressione cinese ai suoi confini e sui mari, rafforzata dalla creazione di una rete di Paesi amici (come il Pakistan e l’Afghanistan), non favorevoli agli Indiani, Nuova Dehli non appare intenzionata a cercare alleanze vincolanti. Lo si comprende anche su temi comuni, come il contrasto dei cambiamenti climatici, in cui l’India non sembra voler prendere posizioni decise, giocandosi sempre la carta dell’ultimo momento. Cinismo giustificato dalla necessità di sopravvivenza economica di uno Paese enorme, costretto da un divario sociale che appare insormontabile, in cui i fumi industriali non sembrano essere il problema più importante a fronte della sopravvivenza nelle aree depresse. Ma il Mors tua vita mea non può funzionare in un mondo di cenere … e porterà solo ad un aumento delle instabilità locali. 

Se queste dinamiche hanno tempi lunghi, la verità amara è che in un prossimo futuro alcuni Paesi sono destinati a scomparire geograficamente, nell’indifferenza ed ignavia generale.

Di positivo il fatto che i Paesi sviluppati hanno convenuto che entro il 2025 raddoppieranno i finanziamenti per l’adattamento energetico per circa 40 miliardi di dollari l’anno. Lo faranno veramente? O meglio, saranno in grado di farlo, in un mondo che continua “a chiedere” senza essere disposto “a rinunciare”, strozzato tra consumismo ed emergenze continue. Uno scenario noto a tutti ma in cui tutti fanno finta di non sentire. Non ultimo, alcuni attivisti per il clima sono stati fortemente critici nei confronti degli esiti della COP 26, descrivendo l’evento come un insieme di colloqui “esclusivi” incentrati su “business as usual and bla, bla, bla” … in realtà, al di là delle speranze di molti, la realtà va oltre le piazze, nelle stanze dei bottoni dove si prendono le decisioni che disegneranno il futuro …  ed il colore dipenderà solo da noi.

 

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