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Il viaggio di Imilcone – parte II

tempo di lettura: 4 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: V – VI SECOLO a.C.
AREA: MAR MEDITERRANEO – OCEANO ATLANTICO
parole chiave: Imilcone
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Ma da quante navi e uomini era composta la spedizione di Imilcone?
Un quesito a cui, almeno per il momento, non si è in grado di dare una risposta certa. Possiamo però ipotizzare il tipo di navi che erano utilizzate nel commercio e nelle esplorazioni, e che quindi possono essere state utilizzate dal navigatore punico.

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pitture rupestri datate tra il 1000 e il 700 a.C a Laja Alta

La scoperta di pitture rupestri indigene (datate tra il 1000 e il 700 a.C) a Laja Alta, presso Jimena de la Frontera in provincia di Cadice, che raffigurano una flottiglia di sette navi di vario tipo, ha contribuito ad arricchire la documentazione sul tipo di naviglio fenicio. Queste imbarcazioni presentano una prua alta, una poppa ricurva, una o due vele, un remo che è utilizzato come timone e quattro di queste dispongono di una fila di remi.

La datazione non corrisponde alle tempistiche del viaggio di Imilcone ma le caratteristiche delle imbarcazioni, nella fase in cui avvenne l’impresa, non erano cambiate di molto. Noi siamo a conoscenza da altre indicazioni, in questo caso bassorilievi assiri (che non si discostano molto da quelle egizi del XV), di imbarcazioni con le stesse caratteristiche manovrate sia a remi che a vela quindi con propulsione mista, e con una figura a prua che riproduce un cavallo.

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I Greci chiamavano queste imbarcazioni gaulos (plurale gauloi) e hippos (plurale hippoi), il primo termine significava ‘vasca’ e si riferiva alla forma arrotondata, mentre il secondo faceva riferimento alla forma a testa di cavallo della prua.

La stabilità della nave sull’acqua si otteneva con pesi sul fondo, pietre o sabbia se si trasportavano le anfore, rammentando sempre che le navi antiche non sempre erano provviste di chiglia, o se presente era poco marcata e il fondo era molto piatto. I modelli di queste navi mercantili prevedevano attraversamenti in mare aperto, mentre non è escluso (come i bassorilievi ci riportano) che ne esistesse un altro tipo per il commercio nell’ambito della fascia costiera tra città vicine, o anche per la pesca.

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Ricostruzione di un Hippos. Era forse una nave fenicia quella descritta come il cavallo di Troia?

Le dimensioni variavano a seconda dell’utilizzo, come così anche la propulsione. Nel primo caso, parliamo di legni della lunghezza di venti o trenta metri, larghi dai 5 agli 8 metri. Lo scafo, come già accennato, era tondeggiante e la poppa terminava con un fregio a forma di pesce, mentre della prua abbiamo già accennato. Per quanto riguarda la propulsione, in questo caso si parla solo di quella velica, con una vela a forma quadra (in verità più rettangolare che quadrata), mentre il timone era rappresentato da un remo con pale asimmetriche, fissato presso la poppa. Le navi del secondo tipo, molto probabilmente, erano più piccole e del tutto simili alle “sorelle” maggiori, ma come già accennato venivano utilizzate per operazioni di cabotaggio e di pesca (Strabone, Geografia II,3,4) presentando una propulsione mista. E non è escluso che siano state utilizzate queste ultime per il viaggio di Imilcone, proprio per la loro duttilità nel poter utilizzare una propulsione che meglio si adattava alle varie situazioni atlantiche.

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Concludendo, non si hanno prove materiali del viaggio a parte le notizie menzionate da alcuni scrittori antichi, poi confluite nell’opera di Avieno. Ma vi sono però evidenze archeologiche che fanno pensare e supporre che la presenza fenicia-punica sulla costa atlantica, li abbia spinti in cerca di nuovi accordi commerciali, soprattutto all’indomani della caduta del monopolio tartessiano, proprio verso l’estremo nord dell’Europa.

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Alcuni studiosi sostengono il raggiungimento delle isole britanniche per lo sfruttamento della cosiddetta “via dello stagno”. Sia Moscati (“I Fenici. L’espansione fenicia”) che Gras (L’Universo fenicio) parlano di indizi di un traffico di stagno verso il sud-ovest della penisola iberica proveniente dalla costa meridionale della Bretagna, dalla Gran Bretagna e dalle isole Cassiteridi.

In effetti i Cartaginesi “blindarono” per lungo tempo lo stretto di Gibilterra, gestendo il monopolio del commercio dello stagno e utilizzando gli indigeni per il trasporto nell’oceano, almeno fino all’affermarsi della potenza romana sul Mediterraneo. Ma di questo parleremo in un altro articolo.

Giuseppe Ferrada

 

 

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Bibliografia principale

Paolo Bernardini: I Fenici sulle rotte dell’Occidente nel IX sec. a.C. Cronologie, incontri, strategie. (Rivista della Scuola Archeologica Italiana di Cartagine)

Gabriella Amiotti: I precursori di Cristoforo Colombo nell’Atlantico e la cultura classica del grande navigatore (Vita e Pensiero)

Luca Antonelli: Rufo Festo Avieno Ora Maritima (Historika, studi di storia greca e romana)

Federica Cordano: La geografia degli antichi (Laterza editore)

Jean Rougé: La navigazione antica (Massari editore)

Lionel Casson: Navi e marinai dell’antichità (Mursia editore)

Sara Sebenico: I Mostri dell’Occidente Medievale

Cyprian Broodbank: Il Mediterraneo (Piccola Biblioteca Einaudi)

 

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