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livello elementare.
ARGOMENTO: ECOLOGIA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANO PACIFICO
parole chiave: Kavachi, vulcano sottomarino, habitat, squali, lemargo
Torniamo alle isole Salomone per parlare, questa volta, di un vulcano sottomarino, Kavachi, situato circa 15 miglia a sud dell’isola di Vangunu, tra i più attivi dell’Oceano Pacifico sud-occidentale. Il suo nome è quello di un dio del mare, adorato dai popoli Gatokae e Vangunu dell’Oceania. Gli abitanti delle isole della Nuova Georgia lo chiamano localmente Rejo te Kavachi che significa “il forno di Kavachi“. Un nome che è tutto un programma.
Il vulcano sommerso si è formato in un’area tettonicamente attiva collocata ai margini di una zona di subduzione che si trova a 18 miglia a sud-ovest. Il vulcano produce lave che vanno dal basaltico, che è ricco di magnesio e ferro, all’andesitico, che contiene più silice. Secondo l’Osservatorio della Terra della NASA, Kavachi è conosciuto per avere eruzioni freatomagmatiche in cui l’interazione di magma e acqua provoca eruzioni esplosive che espellono vapore, ceneri, frammenti di roccia vulcanica e bombe incandescenti. Dalla sua prima eruzione, registrata nel 1939, il vulcano ha creato diverse isole che sono state nel tempo erose e spazzate via dall’azione del moto ondoso.
Eruzione del vulcano – autore fotografia Alex DeCiccio – Kavachi Eruption.jpg – Wikimedia Commons
Secondo lo Smithsonian Global Volcanism Program, il vulcano è entrato in una fase eruttiva nell’ottobre dello scorso anno. Si avvertono rumori occasionali da sotto la superficie dell’acqua, rombi e vibrazioni che possono essere percepiti fino a dieci miglia di distanza nel momento dell’eruzione vera e propria. Un gruppo di esploratori oceanici si è recato vicino al vulcano in una spedizione finanziata in parte dalla National Geographic Society. Il loro obiettivo era creare una mappa della vetta del vulcano e imparare tutto il possibile sui pennacchi chimici, sulla geologia e sulla biologia generale del vulcano sommerso.
Ovviamente, l’acqua all’interno e intorno al vulcano è calda e pericolosamente acida per i subacquei umani. Anche quando il cratere non sta emettendo vapore, cenere e lava sulla superficie dell’oceano, i subacquei che in passato hanno osato raggiungere il bordo esterno del vulcano hanno dovuto tornare indietro a causa delle alte temperature e delle ustioni acide su la loro pelle. Questa volta, Phillips Brennan, un oceanografo dello Schmidt Ocean Institute, e il suo team, hanno utilizzato dei droni subacquei dotati di telecamere per esplorare per la prima volta in profondità il sito. Utilizzando tecnologie allo stato dell’arte, i ricercatori sono riusciti a rimanere a distanza di sicurezza e ad installare le telecamere persino in fondo al vulcano. Per chi volesse approfondire, il loro studio è stato pubblicato dalla rivista Oceanography
batimetria di Kavachi da studio citato Exploring the “Sharkcano”: Biogeochemical observations of the Kavachi submarine volcano (Solomon Islands) pubblicato su Oceanography, 2016 https://tos.org/oceanography/assets/docs/29-4_phillips.pdf
Vi domanderete dove è la notizia?
Come è noto, l’Oceano Pacifico contiene diverse aree vulcanicamente attive dove si sono generati in passato fenomeni sismologici importanti se non catastrofici. Questa volta la sorpresa è venuta però dal suo ambiente biologico.
All’inizio, i ricercatori erano rimasti sbalorditi nel vedere una pastinaca nuotare con grazia all’interno dei pennacchi del vulcano. La sorpresa maggiore è stata di vedere squali martello e squali seta nuotare in gran numero in quell’habitat estremo. Quegli squali sono un piccolo gruppo di diverse specie di pesci che sono riusciti a sopravvivere e a riprodursi in un ambiente decisamente ostile, in acque estremamente calde e acide all’interno di un cratere di un vulcano sottomarino altamente attivo.
Mentre stavano studiando le riprese della telecamera subacquea hanno improvvisamente notato qualcosa di strano, grande, marrone e “simile da una macchia” … e non era l’unico. Si tratta va di pesci che nuotavano in quella caldera infernale. Tra di essi è stato identificato un grande lemargo del Pacifico (Somniosus pacificus), una scoperta che ha davvero sorpreso i ricercatori in quanto si tratta di uno squalo raro, originario dell’Oceano Pacifico e Atlantico, nonché di parti dell’Antartide e della Tasmania ma che nessuno si sarebbe mai aspettato di scorgere in fondo al vulcano.
I lemarghi del Pacifico sono squali che possono crescere fino a 7 metri di lunghezza. Sono dei possenti predatori che si nutrono risucchiando le prede all’interno della grande bocca, facendoli poi a pezzi con i denti affilati, in modo da poterli meglio inghiottire. La loro presenza è curiosa in quanto, essendo animali che vivono nelle acque profonde, dove le temperature sono molto basse, l’olio all’interno del loro fegato non contiene squalene, ma vari composti a bassa densità che mantengono la loro fluidità anche a temperature bassissime. In questo caso però questi squali vivono ad alte temperature, cosa che fa ipotizzare siano diversi dalle altre specie e si siano adattati all’ambiente estremo.
Kavachi vulcano ospita anche una specie di squali martello https://tos.org/oceanography/assets/docs/29-4_phillips.pdf
Insieme ad essi sono stati scorti numerosi esemplari di squali martello; squali di tutt’altro genere, anch’essi predatori, che sono noti per formare branchi estesi durante il giorno, a volte in gruppi di oltre 100, mentre con il calare delle tenebre, come altri squali, diventano cacciatori solitari. Secondo National Geographic, pur vivendo per lo più in acque tropicali, durante l’estate possono emigrare verso acque più fredde. Anche in questo caso il mistero si infittisce. Ci troviamo di fronte ad un’altra eccezione, ad una mutazione che permette a questi animali di sopravvivere? Un be mistero che, non a caso, gli sta facendo meritare il nomignolo di Sharkano.
Sebbene Kavachi non stesse eruttando al momento della spedizione, nei filmati si potevano scorgere colonne di emissioni di anidride carbonica e gas metano che gorgogliavano dal fondo del mare. Anche l’acqua circostante appare di diversi colori per la presenza di diversi minerali disciolti rilasciati durante le emissioni.
Di conseguenza, ci si può chiedere come questi animali si siano potuti adattare, forse nel corso dei milioni di anni, a questo tipo di ambiente estremo. Potremmo forse trovare, in ambienti estremi presenti negli oceani di altri pianeti, animali simili? Una domanda certamente affascinante che ci porta molto lontano, sulle lune di Saturno e di Giove in cui l’ipotesi dell’esistenza di oceani sta diventando sempre più fattibile. Per ora continuiamo a stupirci davanti allo spettacolo della natura del nostro pianeta che ha ancora tante cose da regalarci.
Andrea Mucedola
Riferimento
Phillips, B.T., M. Dunbabin, B. Henning, C. Howell, A. DeCiccio, A. Flinders, K.A. Kelley, J.J. Scott, S. Albert, S. Carey, R. Tsadok, and A. Grinham. 2016.
Exploring the “Sharkcano”: Biogeochemical observations of the Kavachi submarine volcano (Solomon Islands). Oceanography 29(4): 160–169, https://doi.org/10.5670/oceanog.2016.85.
immagini subacquee estratte dal rapporto citato
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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