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La Flotta italiana nella guerra di Libia – parte V

tempo di lettura: 5 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Regno di Italia, Sublime Porta, Libia

 

Le operazioni nell’Egeo
Lo Stato maggiore della regia marina italiana stabilì l’impiego di due gruppi navali: il primo, composto da tre Divisioni, dislocato nell’alto Egeo, mentre il secondo, con una sola divisione, si sarebbe concentrato nella zona meridionale con il compito iniziale di effettuare dei bombardamenti costieri, interrompere le linee ferroviarie e i cavi subacquei e di procedere  all’intercettazione dei sommergibili e navi turche.

Gli obiettivi sarebbero stati Lemnos, sulla rotta per Izmir, e Stampalia, a sud, partendo da Cipro. Non era pianificata alcuna azione contro i forti lungo le sponde dei Dardanelli. Fu approntata una forza da sbarco rinforzata a Tobruk e la Regia Marina dispiegò sette piroscafi (Sannio, Europa, Verona, Toscana, Bulgaria, Cavour, Valparaiso), scortate da alcune unità da battaglia della 2° divisione della 1° squadra (Margherita, Filiberto, Brin e Saint Bon) e da siluranti. Inoltre, una squadra di torpediniere si sarebbe occupata della protezione durante la fase di sbarco. Gli aspetti logistici furono curati nei particolari, assegnando anche la nave ospedale, il Re d’Italia, per l’assistenza ai feriti.

Iniziava così l’Operazione Bomba, una località nei pressi di Tobruk, scelto per depistare lo spionaggio internazionale, evitando che l’Impero Ottomano potesse approntare le difese necessarie controbattendo l’offensiva. A tal riguardo la forza militare prese il nome di Distaccamento di Bomba.

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ammiraglio Leone Viale

Il 28 aprile, la 2° divisione della 1° squadra occupò pacificamente Stampalia per crearvi una prima base di appoggio. Le direttive per l’occupazione di Rodi erano state inviate la settimana precedente: il contingente italiano avrebbe dovuto partire mantenendo la rotta di levante fino alla notte per poi dirigere verso nord. Il generale Giovanni Ameglio ricevette tutti i poteri civili e militari, mentre venne data libertà d’azione all’ammiraglio Leone Viale, comandante in capo delle forze navali. 

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generale Giovanni Ameglio

Inutile dire che il carattere segretissimo della missione portò gli alti ufficiali a tenere nascosta l’operazione agli equipaggi sulla vera destinazione della navigazione. L’azione venne fissata per il 4 maggio. Alle ore 02:00, la flotta italiana, navigando ad una velocità di circa 10 nodi,  con i piroscafi Sannio, Europa, Verona, Toscana, Bulgaria, Cavour, Valparaiso, su due file aperte e chiuse dalle corazzate Margherita, Filiberto, Brin e Saint Bon in testa e in coda, raggiunse  l’isola di Rodi, presso la baia Kaliteas. Dopo aver sbarcato gli esploratori, in assenza di truppe turche, si diede l’avvio allo sbarco delle forze, che nel primo pomeriggio iniziarono l’avanzata terrestre verso la città di Rodi. 

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lo sbarco delle truppe italiane a Rodi – Photo Credit To https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Rhodes_Italian_landing.jpg

I primi contatti con le truppe ottomane avvennero all’altezza del colle di Koskino e ad Argurù, dove un distaccamento di 400 soldati turchi attaccò le forze italiane rallentandone però soltanto l’avanzata. Un rallentamento minimale tanto che come previsto, al crepuscolo le truppe italiane riuscirono ad arrivare a circa mezz’ora di marcia da Rodi città.

In sintesi, la resistenza turca, eccetto nella città di Rodi, fu pressoché inesistente ed i marinai conquistarono i posti di guardia, in attesa dell’avvicendamento con le truppe dell’esercito ed i carabinieri. Con l’occupazione del Dodecaneso il Regno d’Italia otteneva il potere marittimo nel basso Egeo, bloccando le attività marittime turche e restringendo ancor di più il flusso di rinforzi e rifornimenti in Libia.

Inutile dire che le reazioni internazionali rivelarono notevole preoccupazione per la condotta aggressiva del regno sabaudo, in particolar modo Gran Bretagna e Francia considerarono minacciati i propri interessi commerciali. Curioso perché proprio la Francia, il 12 maggio 1881, parlando di interessi commerciali, si era impadronita in appena undici giorni della Tunisia. Un evento passato alla storia come lo schiaffo di Tunisi, ovvero la falsa promessa del primo ministro transalpino Jules Ferry  al collega italiano, Benedetto Cairoli, che non vi fosse da parte francese alcuna volontà di occupare la Tunisia, che era stata dichiarata di interesse del Regno di Italia per la presenza in loco di una numerosa comunità italiana.

D’altronde l’Italia era ancora alleata con la triplice alleanza e temevano un rinforzo tedesco nell’area, strategicamente importante in quanto compresa tra i Dardanelli e il Canale di Suez, le vie marittime di importanza maggiore all’epoca. In particolare i Britannici si sentirono minacciati in quanto l’area era un possibile punto di limitazione al traffico marittimo sulla britannica “via delle Indie”.

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Non a caso, l’ammiragliato britannico consigliò al governo inglese di “opporsi strenuamente” ad un’occupazione permanente di qualsiasi isola dell’Egeo, ipotizzando un possibile attacco della flotta italiana a Malta. La constatazione di una oggettiva debolezza portò la flotta britannica ad abbandonare le posizioni nel Mediterraneo orientale e dislocarsi a Gibilterra. Cosa che non piacque ai cugini di oltralpe, che temendo di restare soli su quel fronte chiesero all’Ammiragliato di mantenere una certa presenza. A luglio, questi decise di mantenere nella base di Malta una significativa presenza navale. Il giorno 16 luglio fu finalizzata una convenzione franco‐russa che permise alla Francia di spostare dalla Manica la 3° squadra.  Il successivo accordo anglo‐francese del 10 febbraio 1913 formalizzò la collaborazione tra le due marine per la difesa, il controllo e il monitoraggio dell’intero Mediterraneo. L’Italia, di fronte alle proteste internazionali, ribadì che l’occupazione sarebbe stata temporanea, finalizzata alla resa turca e al controllo definitivo delle regioni libiche.

Nel luglio del 1912 la Turchia accettò di avviare, ufficiosamente e nella massima segretezza, i preliminari per le trattative di pace. Sin dall’inizio i Turchi, pur se intenzionati a concludere, non sembrarono però disposti a cedere facilmente, per gli ovvi risvolti legati anche agli altri possedimenti multietnici del loro Impero.

L’Italia decise allora di forzare ulteriormente l’Impero Ottomano tramite una nuova incursione militare ancora una volta con l’impiego della Regia Marina. Furono scartate ipotesi di occupazione di città costiere mentre si optò per una nuova incursione nei Dardanelli. Un’azione spettacolare intesa a penetrare in profondità nello Stretto dove era ormeggiata la flotta ottomana, e procedere alla sua sistematica distruzione. In altre parole eliminare la capacità marittima offensiva turca costituendo un’ulteriore pressione per il raggiungimento degli accordi di pace.

Fine parte V – continua

Andrea Mucedola 

 

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PAGINA PRINCIPALE

 

PARTE I PARTE II.

PARTE III PARTE IV

PARTE V PARTE VI

 

Riferimenti
Antonello Battaglia, Il Dodecaneso italiano. Una storia da rivisitare, Eurostudium , 2010

Mariano Gabriele, La Marina nella Guerra Italo-Turca, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1998

Causa, La guerra italo‐turca e la conquista della Tripolitania e della Cirenaica, dallo sbarco di Tripoli alla pace di Losanna, Salani, Firenze, 1912

Manfroni, Guerra italo ‐ turca (1911‐1912). Cronistoria delle operazioni navali, II (Dal decreto di sovranità sulla Libia alla conclusione della pace), Roma, Stabilimento Poligrafico Editoriale Romano, 1926

Colliva, Nebbie e spie nei Dardanelli. Aspetti sconosciuti e dimenticati della guerra di Libia e dell’impresa di E. M. (1911-1912), in Bollettino d’archivio dell’Ufficio storico della Marina Militare, XX (2006)

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