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livello elementare.
ARGOMENTO: PESCA
PERIODO: XX SECOLO
AREA: ITALIA
parole chiave: pesca commerciale
All’inizio del ventennio fascista, il Governo si rese conto di come la nostra bilancia commerciale fosse sbilanciata verso le importazioni, anche di natura alimentare, a causa per lo più di ritardi tecnologici legati agli impianti ed ai metodi di produzione di grano e derivati della carne. Venne così avviata la famosa “battaglia del grano”, a cui si affiancò la meno nota “battaglia del pesce”, in quanto quest’ultimo era considerato un economico surrogato della carne.
Mussolini in visita ad un peschereccio – archivio del Senato italiano
Se la carne costava 18 lire il Kg (equivalente a 40 euro d’oggi) il pesce di qualità costava diciotto volte meno (1 lira). Il baccalà secco o salato (d’importazione) era però a 2-2,5 lire ed aveva risolto il problema della conservazione e della pellagra in Veneto. A Napoli le vongole fresche costavano 5 centesimi al chilo (1/30 del pane) e il pesce azzurro a Pescara, allo sbarco, era di circa 2 centesimi al chilo (lo stesso di 50 gr di patate o “mezzo” uovo).
Questo però imponeva lo sviluppo di una flotta d’alto mare rivolta essenzialmente all’Oceano Atlantico. I mari italiani erano infatti battuti da una miriade di piccole barche da pesca ed era difficile prospettare un aumento delle catture, mentre le colonie erano lontane ed assolutamente non attrezzate per moderne industrie di conservazione. Occorreva così, secondo il regime, iniziare la concorrenza con le grosse flotte nordeuropee; quelle dei Paesi affacciati sull’Atlantico e con una lunga tradizione di pesca legata a sistemi e macchinari moderni: un’impresa certamente non facile.
Le prime società
Nel 1923 vennero costituite due società pioniere, la I.P.E.S. e la S.A.P.R.I.:
I.P.E.S. – S.A. (Industria Pesca e Sottoprodotti – società anonima)
La società era presieduta da un membro di casa Savoia, il Duca di Genova, e fu dotata di 18 piropescherecci di costruzione tedesca che operarono prima nel mare del Nord, con base in quei porti, e successivamente al largo della costa occidentale africana (lungo la regione del Río de Oro dall’altezza delle Canarie sino a Villa Cisneros, spingendosi anche più a Sud, fino a capo Barbas e Capo Bianco). Ogni unità si assentava dalla base predetta per circa un mese; mediamente venti giorni occorrevano per percorrere, in andata e ritorno, le 1600-1800 miglia intercorrenti tra la base e la zona di pesca seguiti da una decina di giorni sul banco per pescare 40-60 tonnellate di pesce di grosse dimensioni che veniva conservato con il ghiaccio con risultati non sempre ottimali.
Il Sardina, al pari di altri 17 piropescherecci, tutti con nomi di pesci (Anguilla, Acciuga, Aringa, Cefalo, Cernia, Dentice, Grongo, Merluzzo, Nasello, Orata, Pesce Spada, Sardella, Scorfano, Sogliola, Spigola, Triglia e Tonno), venne costruito per la Società Anonima Industria Pesca e Sottoprodotti dai cantieri Frerichswerft, Einswarden (Amburgo). Tutti i piropescherecci erano dotati di eccellenti qualità di robustezza e tenuta del mare, che li rendeva adatti alla pesca oceanica, ma anche ad un eventuale impiego militare. Non a caso quattro unità furono acquistate in seguito dalla Regia Marina italiana, che le usò come cannoniere.
Per ridurre le spese di esercizio e sbarcare il pesce in condizioni migliori, la società adoperò anche alcune unità ausiliarie (portolate) che raggiungevano al largo i battelli in pesca per trasportare poi il prodotto a terra. Questo consentiva ai primi di non allontanarsi dalle zone di pesca. Impiantò anche dei frigoriferi che, a causa della tecnologia del tempo, si dimostrarono poco efficaci. Ciononostante l’esperimento non fu vano perché dimostrò che la convenienza dell’introduzione in Italia di pesce congelato, direttamente pescato in Atlantico da flottiglie nazionali, dipendeva necessariamente dalla soluzione di due complessi problemi: lo smercio del prodotto e la distanza dalle zone di pesca. Il fattore tempo era quindi un elemento fondamentale. Si stabilì quindi di costruire nuove unità adatte allo scopo, dotate di buona velocità ed impianti frigoriferi idonei per un rapido ed efficiente congelamento dei pesci appena pescati e non ancora sventrati. La società fu liquidata attorno al 1933.
S.A.P.R.I. – Società Anonima Pesca e Reti Italiana
La Società fu fondata dai fratelli Merlini di San Benedetto del Tronto ma ebbe sede sociale a Roma. Le attività contemplate dallo statuto societario prevedevano la pesca in alto mare, praticata con moderni pescherecci, il trasporto del pesce fresco in vagoni refrigerati e la successiva commercializzazione nelle città maggiori del Regno. Inoltre, si sarebbe occupata anche della fabbricazione di cime e delle reti necessarie all’industria della pesca. Alla costituzione della Società seguì l’acquisto di sei grandi piroscafi pescherecci chiamati con nomi di costellazioni: Pegaso, Procione, Perseo, Sirio, Orsa e Orione, che erano stati consegnati dalla Germania all’Italia in conto riparazioni per i danni di guerra. Essi, con opportune modifiche, vennero adibiti alla pesca in Adriatico e nel Mediterraneo.
Nella città dalmata di Zara, la società fondò un importante stabilimento la cui produzione principale, oltre ai cordami, era costituita dalle reti in «manilla», fabbricate con particolari filati di canapa di Manila, all’epoca prodotti solo in Italia, che le rendevano superiori per robustezza e leggerezza a quelle inglesi e tedesche. Annesso allo stabilimento venne costruita una fabbrica di ghiaccio per la conservazione del pesce e un grande deposito di carbone per rifornire i piropescherecci.
Nel 1925-26 la S.A.P.R.I., dopo un primo tentativo lungo le coste mediterranee del Marocco spagnolo, spinse quattro dei suoi piropescherecci sui pescosissimi banchi delle coste atlantiche dell’Africa nordoccidentale. La pesca si rivelò molto redditizia, ma la conservazione del prodotto, refrigerato ancora con strati di ghiaccio, sulle lunghe distanze presentò ancora problemi che furono superati solo negli anni Trenta quando vennero costruite imbarcazioni dotate di impianti per la congelazione del pescato.
Nel 1933, al nucleo originario della flotta peschereccia, si aggiunsero altri tre piropescherecci: Orata, Grongo e Nasello, appartenuti inizialmente alla I.P.E.S.. La ditta decise però di ritirarsi dalla pesca atlantica, ritenuta ancora poco conveniente in quanto i consumatori erano ancora diffidenti verso il pesce congelato, concentrando invece tutte le energie nella pesca mediterranea e nella commercializzazione del pesce fresco. Nel 1937 la S.A.P.R.I. intraprese una nuova campagna sperimentale sulle rotte polari della pesca al merluzzo per la produzione di baccalà, alimento di largo consumo interamente importato dall’estero. I problemi di carattere logistico, legati alla mancanza di basi di approdo, che i Paesi nordici negavano nel timore di favorire un concorrente commerciale, furono superati utilizzando una nave appoggio per le operazioni di rifornimento e trasbordo del pescato. Nel maggio del 1937 partirono con tre piropescherecci, muniti di speciali rinforzi per il ghiaccio: la stagione iniziò sui banchi di Terranova con base a Harbour Grace, per poi proseguire in un’area compresa tra le isole degli Orsi, le isole Spitsbergen e la costa del mare di Barents, dove si trova il porto di Murmansk. All’inizio del 1938 il campo di pesca fu spostato nelle acque della Groenlandia occidentale, sul banco di Fillas fino all’isola di Disko, con base nel fiordo di Faeringhavn dove venne inviata la nave d’appoggio per rifornire gli equipaggi di viveri, sale e carbone e trasbordare il merluzzo pescato da inviare in Italia. Dopo quindici mesi trascorsi tra i ghiacci polari, la flotta rientrò nel porto di Zara, il 30 agosto 1939, con un carico di 1.565 tonnellate di baccalà e 500 quintali di olio di fegato di merluzzo. La campagna fu ripetuta anche l’anno successivo nelle acque della Groenlandia con sistemi di pesca perfezionati, equipaggi scelti e specialisti per la preparazione del baccalà. Lo scoppio della seconda guerra mondiale interruppe però le attività di pesca.
ITALPESCA
Il Ministero dell’agricoltura bandì un concorso, nel 1931, per un premio al miglior progetto di battelli da pesca nell’Atlantico, da costruirsi con impianti adatti per il trasporto del prodotto in Italia; lo vinse la ITALPESCA di Umberto Lupi che fece costruire nel cantiere Breda di Venezia tre motopescherecci a carena Maier: Umberto Lupi, Alfa Romeo e Breda.
Caratteristiche dimensioni: m. 52,10 fuori tutto e 47 fra le pp. × 7,42 × 3,24; stazza lorda 400, netta 197; celle frigorifere della capienza di mc. 322 con un impianto Zarotschenzeff, apparato motore Diesel, fornito dall’Alfa Romeo, a iniezione meccanica, quattro tempi senza compressori, otto cilindri verticali, potenza normale HP 750, consumo a pieno carico per HP-ora gr. 170, velocità 12 nodi, apparecchio a scandagliare Marconi a ultrasuoni tipo ecometro, equipaggio 21, cioè sei in meno delle unità della I.P.E.S.) |
La zona di pesca dei tre motopescherecci (ai quali è da aggiungere il peschereccio Naiade, di stazza inferiore), si estendeva al bassofondo di Arguin (Mauritania), ossia fra 20° e 21° 30′ di latitudine Nord.
A Livorno, porto di base, furono sistemati ampi magazzini frigoriferi, alla cui porta, nella calata Sgarallino, i vagoni frigoriferi o refrigeranti potevano imbarcare direttamente la merce. Un primo tentativo di operare in modo completamente moderno ma, per ragioni non chiare, nel 1933 la società fu dichiarata fallita.
Fine parte II – continua
Gianluca Bertozzi
FONTI
GENEPESCA: Marinai contro le avversità del destino di Paolo Ponga
Cefalo e Sogliola: Storia di ventiquattro trawlers tedeschi in Italia di Francesco de Domenico
Pesci, barche, pescatori nell’area mediterranea dal medioevo all’età contemporanea. Atti del Quarto Convegno Internazionale di Studi sulla Storia della pesca. Fisciano-Vietri sul Mare-Cetara, 3-6 ottobre 2007
Voce PESCA Enciclopedia italiana, 1935
Due pescherecci molto speciali di Claudio Rizza
Merlini Filippo – Dizionario Biografico degli italiani
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