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livello elementare.
ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVI- XVII SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: marineria inglese
A seguito dell’esperienza maturata negli scontri con la Spagna, l’Inghilterra comprese quanto fosse necessario creare un’organizzazione navale stabile e ben regolata allo scopo di proteggere gli interessi della Corona. L’Inghilterra non aveva all’epoca un esercito regolare e la sua consistenza era di circa 40.000 uomini disseminati nei villaggi per la milizia; nel caso di sbarco degli spagnoli non avrebbe potuto offrire una resistenza idonea e le poche forze disponibili sarebbero state distrutte dagli invasori. Elisabetta maturò la decisione di affidare la difesa della Corona e dei suoi interessi più che ad un Esercito ben armato ad una nuova Marina.
The Henry Grace à Dieu (The Great Harry) – artista anonimo – Fonte foto Sotheby’s sale L09635, Oct. 29, 2009 File:English school – c. 1575, the Henry Grace à Dieu (The Great Harry), oil on panel, Sotheby’s sale L09635, Oct. 29, 2009.jpg – Wikimedia Commons
L’Inghilterra incominciò sotto Enrico VIII a sviluppare una flotta per poter affermare la propria potenza. Seguendo il consiglio di suo padre, iniziò a distribuire lettere di marca per autorizzare operazioni di corsa. Lo sviluppo della cantieristica portò alla costruzione di grandi navi. Tra di esse va menzionata l’Henry Grace a Dieu, una caracca costruita nel 1514 che si colloca tra la caravella ed il galeone. Come le due grandi navi costruite prima di lei – Mary Rose nel 1505 e Great Galley nel 1513 – era in grado di trasportare tonnellate di armi e uomini. Fu costruita a Woolwich Dockyard nel Kent da William Bond. Si stima pesasse oltre 1.500 tonnellate (la maggior parte delle caracche superava le 1.200 tonnellate) e poteva trasportare un equipaggio di 700 uomini. Armata con 180 cannoni, montava i più pesanti (20) sotto coperta mentre i più leggeri erano montati sul castello di prua a due tughe e sulle quattro tughe dopo il castello con lo scopo di distruggere il sartiame della nave nemica
Nello stesso periodo Francis Bacon (1561-1626) affermava l’importanza di detenere il predominio sui mari: “…this much is certain; that he that commands at sea is at great liberty, and may take as much and as little of the war as he will; whereas those that be strongest by land are many times, nevertheless in great straits; and the wealth of both Indies seems, in great part, but an accessory to the command at seas”.
Sir Walter Raleigh (1552 1554 circa – Londra, 29 ottobre 1618) fu un grande navigatore, corsaro e poeta inglese. Membro di spicco dei famosi Sea Dogs, fu uno dei favoriti di Elisabetta I, ed al suo servizio scoprì le coste dell’America settentrionale nel 1584 che ribattezzò Virginia. Salito al trono Giacomo I, cadde in disgrazia e infine fu decapitato. Fu una delle personalità maggiori dell’epoca elisabettiana e il principale iniziatore dell’espansione coloniale inglese – Fonte National Portrait Gallery room 2 – con iscrizione sulla destra: Aetatis suae 34 An(no) 1588 e sulla sinistra il suo motto: Amor et Virtute.Sir Walter Ralegh by ‘H’ monogrammist.jpg – Wikimedia Commons
La politica di uno sviluppo delle forze navali piuttosto che terrestri fu enfatizzata da Walter Raleigh “I take it to be the wisest way, to employ good ships on the sea, and not trust to any intrenchment upon the shore..”
I nuovi mercati a seguito delle scoperte geografiche
Prima di entrare in merito a questo sviluppo storico è necessario fare un quadro della situazione economica dell’epoca; per sopperire alla povertà dilagante dei ceti più bassi, nel 1601 fu promulgata una tassa per i poveri allo scopo di incentivare le attività commerciali attraverso l’acquisto di materie prime per lo sviluppo dei commerci e fu creata l’istituzione dell’apprendistato. Elisabetta I comprese quanto, in un’epoca di nuove scoperte, fosse necessario aprire nuove vie e mercati, favorendo i mercati delle due Indie che stavano sostituendo quelli tradizionali dei Paesi Bassi e della Francia che, tra l’altro, da poco si era ripresa Calais, tradizionale porto di afflusso dei prodotti dei mercanti lanieri inglesi nel Continente.
Ciò comportò un mutamento “dell’orizzonte commerciale“ a tutti i livelli: dai ceti più bassi, che vedevano nelle nuove terre la possibilità di migliorare le proprie condizioni economiche, ai mercanti che incominciarono a sviluppare il concetto di imprenditoria, fino a Corte, dove nasceva il concetto di capitalismo da imporre sulle nuove terre in contrapposizione alle politiche economiche degli altri stati europei.
L’arrivo di Walter Raleigh in Virginia, 1585-1588, incisione di Theodore de Bry (1528-1598), da Peregrinationes, Stati Uniti d’America XVI secolo – Fonte “La carte di tutta la costa della Virginia”, incisione di Theodor de Bry basata sulla mappa di John White della costa della Virginia e della Carolina del Nord intorno al 1585-1586, pubblicata in “A Briefe and True Report of the New Found of Virginia di Thomas Hariot“, pubblicato nel 1588 e in Vol. 1 dei grandi viaggi di Theodore de Bry, stampati in francese, inglese e tedesco. Questa è stata la prima mappa stampata con un alto grado di dettaglio e accuratezza per qualsiasi parte degli Stati Uniti. File:Map of Virginia, Theodorus de Bry, 1591.jpg – Wikimedia Commons
Nonostante ciò, nessuna colonia d’oltremare fu impiantata con successo sotto Elisabetta; i tentativi di Raleigh in Virginia (chiamata così in onore della Regina Vergine, come veniva soprannominata Elisabetta I) e di Gilbert a Terranova non portarono risultati tangibili nei primi anni. Nel 1559, Hakluyt pubblicò la prima versione de “The Principall navigations, voyages and discoveries of the English Nation”; il libro fu ripubblicato nel 1562, aggiornato in tre volumi, e divenne un best seller. Il ceto più povero cominciava così a sognare le nuove estensioni di terra oltre oceano. Nei campi, nelle officine, nella City, fino a Corte si parlava dei viaggi di Francis Drake (1540-1596), di Walter Raleigh (1552-1618), di John Hawkins (1532-1595) e dei capitani di ventura al soldo della regina, che riportavano notizie da tutte le parti del mondo e creavano i presupposti di un futuro benessere comune.
Lo sviluppo mercantile compì un notevole passo avanti col formarsi delle Compagnie d’oltremare. Ve n’erano di due tipi: nelle prime ogni membro rischiava il proprio capitale sottoponendosi alle regole delle Corporazioni, per cui erano dette “Compagnie regolate” (tra queste le più famose erano la Compagnia Baltica, la Russa e quella del Levante); le seconde erano costituite come Società per Azioni e quindi veniva garantito un rischio ed un impegno economico diversificato tra i vari imprenditori (tra queste le più importanti furono la Compagnia delle Indie Orientali e quella Africana).
Ad ogni Compagnia veniva assegnata dalla regina una sfera geografica di interesse e garantito il monopolio per quell’area. La Compagnia delle Indie Orientali, fondata da Elisabetta I nel 1600, con sede a Londra, deteneva per statuto, oltre al monopolio per la sua area mercantile, anche il potere legislativo e giudiziario sui suoi membri ed il compito di dettare pace o guerra al di là del Capo di Buona Speranza. Ciò significava che la Corona si riservava di proteggere i propri traffici solo sul lato atlantico, delegando in Oriente un compito istituzionale ad una Compagnia privata.
D’altra parte la Compagnia, molto saggiamente, all’epoca non si occupava di politica ma manteneva un rapporto puramente commerciale con le Indie. Con gli Stuart, sotto il regno di Giacomo I, la Compagnia possedeva già trenta vascelli di grosso tonnellaggio, che si occupavano delle lunghe traversate dall’India all’Inghilterra, ed un certo numero di unità navali minori che restavano dislocate localmente; ciò contribuiva indirettamente ad aumentare la forza navale inglese, fornendo naviglio e sempre più esperti marinai. Se Enrico VIII aveva posto le basi della Royal Navy, sotto Elisabetta I ed i suoi successori il concetto navale fu esaltato allo scopo di incentivare le attività dei propri capitani, spesso con concessioni eticamente poco condivisibili.
Le azioni di Drake, di Hawkins e degli altri esploratori spinsero il commercio ad operare in mercati sempre più lontani e li resero celebri di fronte al popolo fino alla mitizzazione. In realtà i marinai che si erano opposti fieramente alla Spagna, al di là del coraggio e della perizia marinaresca, erano tutt’altro che persone raccomandabili; sia che vestissero l’abito ecclesiastico sia quello civile, essi si macchiarono spesso di delitti e ruberie degni del peggior pirata.
Francis Drake, grande esploratore ed eroe del mare, le cui gesta erano cantate nei teatri e nelle osterie, aveva depredato le navi spagnole di ritorno dalla rotta dell’argento con la famosa licenza di corsa assegnatagli dalla Corona, alla quale andava parte del bottino. Lo stesso Hawkins, come Drake che era stato alle sue dipendenze, aveva praticato la tratta degli schiavi dalle coste africane fino alle colonie spagnole in America; nonostante ciò, gli fu assegnato il compito di regolamentare la corrotta cantieristica ed il mantenimento della flotta. La flotta inglese aveva ora comandanti avvezzi al mare, che sin da giovani avevano lottato contro le intemperie e le tempeste ed avevano raggiunto la piena consapevolezza dello “stare per mare “.
Francis Drake, nel suo celebre viaggio intorno al mondo (1577-1580) aveva sposato la regola per cui anche i gentiluomini volontari, futuri comandanti, dovevano, all’inizio della carriera, fare il lavoro del mozzo: lavare i ponti, alare le cime di manovra ed imbrigliare le vele. La disciplina e l’uguaglianza dell’equipaggio in mare era quindi garantita da regole dure ma ben precise, certamente diverse da quelle della Marina spagnola, che prevedeva ancora privilegi per i rampolli di buona famiglia e l’impiego di schiavi nelle galere.
Una vita dura
Le condizioni di vita a bordo delle navi inglesi del XVI secolo erano assai dure: cibo scarso, condizioni igieniche precarie, disciplina ferrea fanno dubitare della reale motivazione degli equipaggi dopo il primo periodo di imbarco. I marinai, con la nave alla fonda in rada, non avevano il permesso di recarsi a terra nei porti ed alcool e prostitute venivano portati a bordo tramite “shuttle boats” presidiate dalle guardie di bordo. I casi di ammutinamento, non infrequenti, erano puniti con la morte per impiccagione e la frusta ed i giri di chiglia venivano amministrati facilmente per scoraggiare le ribellioni. In particolare, Van Loom, nella sua “Storia della navigazione” riporta: “…la fustigazione era naturalmente all’ordine del giorno,…si frustava chi era in ritardo alla manovra, come chi tardava a scendere giù dagli alberi dopo aver eseguito la manovra, chi bestemmiava, chi attaccava lite, chi trascurava di tenere l’uniforme in ordine perfetto…Era ben peggio il tuffo, ripetuto 3 o 4 volte per una singola mancanza che si applicava a chiunque, in rissa, facesse uso di coltelli, manomettesse il baule dell’acqua da bere e del vino, o chi fosse colto a fumare dopo il tramonto. Se la mancanza era troppo grave per essere punita con il semplice tuffo, oppure se il colpevole era recidivo allora lo si condannava alla chiglia.”
In questo caso il reo veniva legato mani e piedi e fatto passare, tramite una cima, al di sotto della chiglia; i denti di cane e le sporgenze della stessa causavano ferite e, talvolta, mutilazioni ed il malcapitato, in caso di sopravvivenza, dopo aver ricevuto dal chirurgo di bordo una lavatura sommaria delle stesse con acqua e rhum, veniva lasciato al suo destino. Altre pene in uso erano la morte per affogamento e l’impiccagione; quest’ultima veniva comminata in caso di viltà in combattimento e di ammutinamento. La figura del Comandante era spesso quella di un avventuriero che richiedeva la massima fedeltà in cambio di codificati guadagni ottenuti grazie ai saccheggi dei mercantili; nonostante la durezza della vita di bordo, il desiderio di fuggire dalla povertà imperante, la ricerca di fortuna e di avventura e la mitizzazione di quegli eroi esaltati dal potere regio spingeva molti ad imbarcarsi.
È facilmente immaginabile come molte espressioni marinaresche fossero impiegate all’epoca dal popolo, che sviluppava nelle taverne e nei porti, tra racconti di battaglie e di tempeste, una cultura marinaresca di costume imperniata sul fascino del mare e capace di stregare gli animi dei più giovani, attratti da facili guadagni, nuove terre e da una vita avventurosa. Non a caso le ritroviamo nelle opere di William Shakespeare.
Shakespeare e il mare
Nelle opere di Shakespeare le attività umane intorno al mare sono molte e memorabili. Shakespeare trovò nel mare una fonte illimitata di idee sull’epistemologia e sull’esistenza umana a cui è tornato ancora e ancora. In opere teatrali, che vanno da Riccardo III a La tempesta, Shakespeare mostra un’eccezionale padronanza dei termini del mondo marittimo della prima età moderna, significando l’importanza della marittimità in quel momento. In Shakespeare, uomo di teatro aperto a tutti gli influssi che potessero far leva sul pubblico, non poteva quindi mancare l’uso di parole e riferimenti legati al nuovo clima; ad esempio, l’impiego della parola “mutiny” (nel “Coriolano” ed altrove), sebbene impiegabile anche per un esercito, trova ancor maggiore riscontro e forza nel clima precedentemente citato a bordo delle navi dell’epoca.
Il mare è presente costantemente nelle opere di Shakespeare e non solo in opere come “La Tempesta”, che fu scritta prendendo spunto dal naufragio realmente accaduto della Sea Venture, naufragata sulle coste delle Bermuda nel 1609, lungo la perigliosa rotta settentrionale, scoperta dai marinai inglesi per ridurre i tempi necessari per raggiungere le coste della Virginia.La Sea Venture urtò una scogliera a circa un miglio dalle Bermuda, allora conosciuta come “l’isola dei diavoli”. L’intero equipaggio, compreso il cane della nave, sopravvisse, incluso un marinaio chiamato Stephen Hopkins. Stephen era l’unico passeggero Mayflower che era stato in precedenza nel Nuovo Mondo. Alcuni studiosi shakesperiani ritengono che fu preso come modello per l’ubriacone cantiniere Stephano nella Tempesta di Shakespeare.
Nel Riccardo II la parola sea si ritrova in espressioni significative come “ …rage deaf as the sea …” (atto 1 scena 1), “… silver sea…” (atto 2 scena 1), “… rough rude sea…” (atto 3 scena 2) e, soprattutto, in un passo assai interessante della prima scena del secondo atto, in cui John of Gaunt, padre del futuro Enrico IV, declama “… England, bound in with the triumphant sea …”. L’abbinare il mare trionfante all’Inghilterra si addice, più che al periodo storico del “Riccardo II”, al periodo elisabettiano, in cui nascono i presupposti per un’affermazione dell’Inghilterra sul mare, sulla spinta delle grandi esplorazioni e dei crescenti interessi oltre oceano; si può quindi ipotizzare che tale espressione assumesse una connotazione propagandistica di sicuro effetto, pienamente in linea con l’epoca.
Mary Rose, una caracca di 600 tonnellate a quattro alberi, fu una delle prime navi da guerra inglesi con cannoni posizionati sul ponte di batteria, e fu costruita in Inghilterra sotto il regno di EnricoFile:WP Mary Rose Anthony Roll.jpg – Wikimedia Commons
Conclusioni
L’influenza del potere marittimo nella storia inglese non può essere trascurata; nel periodo elisabettiano il mutare degli orizzonti economici, favorito dalle straordinarie scoperte geografiche, e la formazione di nuovi mercati oltre oceano comportarono uno sviluppo economico e sociale senza precedenti trasformando l’Inghilterra, al limite del disastro economico, in una Nazione proiettata verso una nuova realtà di potenza. Ciò fu ottenuto in gran parte grazie allo sviluppo della Royal Navy che, in seguito, con il suo appoggio militare, permise per quattro secoli una politica internazionale agguerrita all’allora nascente Impero Britannico.
Tiziana Forti
in anteprima Drake osserva il bottino da un nave spagnola – Fonte New York Public Library – credit “courtesy New York Public Library www.nypl.org”
Drake-treasure.jpeg – Wikimedia Commons
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Bibliografia
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Richard Hakluyt, The Principall Navigations, Voyages and Discoveries of the English Nation
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M.L. Peterson, Traders and privateers across the Atlantic: 1492-1733
G.M. Trevelyan, Storia della società inglese, Einaudi 1948
Crinò & B. Deakin, A short outline of British history, Firenze, Sansoni, 1974
H.W. Loon Storia della navigazione, Milano, Bompiani, 1935
Mahan, The influence of sea power upon history, Roma, SGM, 1990
Anderson et alii, The sailing ship, Londra, 1947
Dan Brighton, Sounding the Deep: Shakespeare and the Sea Revisited, Forum for Modern Language Studies, Volume 46, Issue 2, April 2010, Pages 189–206, https://doi.org/10.1093/fmls/cqq006
William Shakespeare Coriolano
William Shakespeare La tempesta
William Shakespeare Riccardo II
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