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I pirati dell’antichità – parte I

tempo di lettura: 4 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA ROMANA
PERIODO: EPOCA REPUBBLICANA E IMPERIALE
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Pirati

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Quando fu preso in ostaggio dai pirati, il giovane Caio Giulio Cesare li schernì, li insolentì e li diffidò, promettendo loro la condanna a morte non appena fosse tornato libero. Era stato catturato in mare nel 75 a.C. mentre navigava in pieno inverno verso Rodi, ove doveva frequentare un corso di retorica.

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Nave di pirati greci, in atto di ammainare la vela mentre sta per raggiungere un mercantile da depredare. Vaso ateniese del 520 – 500 a.C. proveniente da Vulci (Etruria). British Museum (foto D. Carro)

Ma non era solo uno studente venticinquenne: possedeva già un’esperienza di guerra contro i pirati, avendo partecipato tre anni prima alla vigorosa spedizione navale condotta dal proconsole Publio Servilio Vatia contro la Cilicia. Sapeva bene, pertanto, di che pasta fossero fatti i suoi carcerieri, e non ebbe dubbi su come comportarsi. Non appena il legno a bordo del quale si trovava sequestrato si ormeggiò nel porto di Mileto, egli inviò i propri servitori a terra per farsi prestare tutto il denaro occorrente. In poco più di un mese, riuscì a mettere insieme una somma ingente. Consegnò ai pirati l’importo stabilito per il proprio riscatto. Tornato libero, si procurò diverse navi. Le armò. Con quella flottiglia salpò di notte da Mileto alla ricerca dei pirati. Li sorprese alla fonda in una caletta poco lontano. Li assalì, ne catturò un buon numero, li portò in catene a Pergamo e li fece mettere a morte, proprio come aveva preannunciato.

Questo brillante successo personale fu però pressoché irrilevante a fronte dell’enorme dimensione assunta dalla pirateria in quel periodo. Cos’era dunque successo? Come mai si era giunti a tale situazione?

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Gaio Giulio Cesare: oltre alle sue celeberrime doti di statista, di condottiero e di scrittore, egli fu un provetto nuotatore, un impavido marinaio, un abilissimo tattico nella guerra navale, un geniale stratega anche nell ambiente marittimo mediterraneo e oceanico, un acuto precursore delle grandi operazioni di assalto anfibio. Gaio Giulio Cesare. Museo Archeologico Nazionale di Napoli (foto D. Carro)

Sin dagli albori della navigazione la pirateria si era manifestata come una piaga endemica, visto che la vastità delle distese marine consentiva ai più scaltri di predare con ampie garanzie di impunità. In effetti, quasi tutte le popolazioni marinare dell’antichità classica ebbero, soprattutto nell’epoca più arcaica, delle frange dedite alla pirateria: vi furono dei pirati fenici, dei pirati etruschi, dei pirati greci provenienti dalle più disparate regioni dell’Ellade. Le grandi potenze navali cercarono di imporre a quelle rivali la rinunzia alla pirateria in determinate aree, come fecero i Cartaginesi nel loro secondo trattato navale con i Romani (IV sec. a.C.), ma ciò non poté certamente evitare che gli arrembaggi continuassero altrove, nella sconfinata estensione delle acque non interdette. Vennero anche condotte delle ricorrenti campagne navali contro i pirati da parte delle maggiori flotte da guerra, come quelle degli Ateniesi, dei Rodii e degli Alessandrini, ma sempre entro aree piuttosto ristrette e con risultati comunque effimeri.

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Per tale motivo, sia nel mondo ellenico che in quello ellenistico, qualsiasi viaggiatore era terrorizzato dall’incombente rischio di essere intercettato da qualche nave predatrice: la letteratura greca abbonda di racconti di viaggi condizionati da tale minaccia. D’altronde, la presenza dei pirati era talmente comune, che assunse un certo rilievo perfino nella mitologia: gli Ateniesi dedicarono un tempio agli dèi Castore e Polluce, che avevano liberato la loro città dai pirati; dopo aver cacciato i predoni dal mare Egeo, questi stessi gemelli divini parteciparono alla spedizione navale degli Argonauti, che furono a loro volta scambiati per pirati dagli abitanti di Cizico.

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Scena navale mitologica con Dioniso (a poppa, con la tunica azzurra) e Sileno (seduto al timone). Il dio punisce i pirati del Tirreno, i quali, gettatisi in mare, vengono trasformati in delfini. Particolare di un mosaico policromo del III sec. Museo del Bardo (Tunisi)

Eumeo, il servitore fedele di Ulisse, era stato rapito dai corsari fenici e ridotto in schiavitù; analogamente, la principessa Issipile, figlia del re di Lemno e nipote di Dioniso, fu catturata dai pirati e venduta. Al dio Imene, che presiedeva ai matrimoni, veniva attribuita la liberazione di alcune fanciulle rapite dai pirati; anche Bellerofonte, figlio di Glauco, risultava aver sgominato una masnada di filibustieri che infestava le acque della Caria. La ninfa Pimplea venne rapita dai pirati e tenuta prigioniera in Frigia, ove si recò per liberarla il pastore siciliano Dafni (figlio di Mercurio), a sua volta salvato in extremis dall’intervento di Ercole; lo stesso Ercole dovette compiere la sua ultima fatica nel giardino delle Esperidi, le sette ninfe che erano state rapite dai pirati: egli uccise questi ultimi e riconsegnò le fanciulle al loro padre Atlante.

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la leggenda di Dioniso ed i pirati, foto andrea mucedola

La fama di audacia ed efferatezza dei pirati era talmente radicata nell’Ellade, che venne immaginato perfino un loro empio tentativo di catturare in mare una divinità maggiore, qual era Dioniso: il dio si difese tuttavia con tutti i suoi poteri soprannaturali, terrorizzando gli assalitori, che si gettarono in mare, finendo trasformati in giocosi delfini.

Fine I parte – continua

Domenico Carro

 

PARTE I PARTE II PARTE III

 

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