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livello medio.
ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANO PACIFICO
parole chiave: Cina, UNCLOS, instabilità nell’Oceano Pacifico
Fino al XIX secolo il diritto internazionale marittimo trovava il proprio fondamento nel principio di libertà dei mari, inteso sul principio che nessun Stato poteva impedire ad un altro Stato l’utilizzo e lo sfruttamento degli spazi marini. Si comprende come la validità di tale principio doveva per forza basarsi su un consenso consuetudinario fra le parti, cosa che non era certo automatica. Nel tempo emerse la necessità di trasformare queste buone intenzioni, spesso violate dalle diverse potenze marittime, con convenzioni ratificate e rispettate dai firmatari. A tal riguardo ricordo storicamente due conferenze:
a. la Conferenza di Ginevra del 1958, che produsse quattro accordi fondamentali:
– la convenzione sul mare territoriale e la zona contigua;
– la convenzione sull’alto mare;
– la convenzione sulla pesca e sulla conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare;
– la convenzione sulla piattaforma continentale. Convenzioni ratificate ciascuna da non più di una cinquantina di Stati;
b. la Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare (1974-1982), dalla quale scaturì la convenzione di Montego Bay (altrimenti detta, Convenzione UNCLOS) che sostituì le quattro Convenzioni di Ginevra del 1958 (art. 311 par. 1) con regole basate (fatte salve alcune eccezioni) sul diritto consuetudinario.
In realtà, sebbene UNCLOS sia stata ratificata da molti Paesi, non mancano interpretazioni che incrementano il numero dei fattori di instabilità nel teatro marittimo.
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US Navy 050813-N-4321F-093 – Unità navali statunitensi del Destroyer Squadron Fifteen in formazione – Autore U.S. Navy photo by Photographer’s Mate 3rd Class Jonathan B. Foutz US Navy 050813-N-4321F-093 Navy ships underway during a formation exercise with Destroyer Squadron Fifteen.jpg – Wikimedia Commons
Va sottolineato che non tutti i Paesi hanno ratificata UNCLOS e mantengono dei distinguo (in primis gli Stati Uniti) per evitare di accettare quelle che ritengono essere limitazioni alla libertà dei mari. Ad esempio, tradizionalmente, la libertà dell’alto mare ha sempre cercato di includere l’uso dei mari per manovre o esercitazioni militari, compreso l’uso delle armi. Di fatto alcuni Paesi non hanno approvato UNCLOS proprio per non accettare “necessità di autorizzazione” da parte dei Paesi “proprietari” delle aree marittime di transito inoffensivo.
Recentemente la Cina ha affermato che le navi da guerra straniere, pur potendo attraversare la zona economica esclusiva cinese, devono ottenere un’approvazione prima di poter effettuare qualsiasi tipo di esercitazioni militari. Una affermazione che di massima sarebbe corretta in aree di propria e riconosciuta giurisdizione. In realtà … bisogna comprendere cosa sia di legale giurisdizione.
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Rappresentanza di marinai cinesi in occasione della visita del capo delle operazioni navali (CNO), ammiraglio John Richardson, a Pechino – Autore sconosciuto – Fonte U.S. Department of Defense Current PhotosChinese sailors.jpg – Wikimedia Commons
Ma qual è la posizione cinese?
Premesso che la Cina fu tra il primo gruppo di 119 paesi che firmarono la Convenzione, ratificandola il 15 maggio 1996, negli ultimi anni, sembrerebbe che diversi rami del governo cinese abbiano utilizzato strategicamente il diritto internazionale per contestualizzare le loro rivendicazioni marittime, in pratica creando delle ambiguità territoriali per espandere la loro influenza su zone marittime contese.
Un’interessante analisi sulla posizione cinese è stata pubblicata da CSIS, Center of Strategica and International Studies, redatta da Sarah Lohschelder, una stagista di ricerca presso l’Asia Maritime Transparency Initiative del CSIS. Secondo l’articolo un problema fondamentale è l’uso cinese del diritto interno per sfidare le regole e gli standard internazionali: in altre parole la terminologia legale interna cinese non è coerente con le definizioni legali internazionali da loro ratificate. In una nota verbale, presentata alle Nazioni Unite nel 2009 si afferma: “La Cina ha la sovranità indiscutibile sulle isole del Mar Cinese Meridionale e sulle acque adiacenti, e gode dei diritti sovrani e della giurisdizione sulle acque rilevanti, nonché sui fondali marini e sottosuolo delle stesse.”
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la portaerei Liaoning, un esempio dello sviluppo marittimo della flotta cinese – Autore 日本防衛省・統合幕僚監部 https://www.mod.go.jp/js/Press/press2021/press_pdf/p20210427_01.pdf PLANS Liaoning (CV-16) 20210427.jpg – Wikimedia Commons
Sembrerebbe una affermazione ineccepibile ma, di fatto, i termini “acque adiacenti” e “acque rilevanti” non sono definiti nel diritto internazionale per designare alcuna zona marittima e questa neo terminologia cinese crea delle ambiguità geopolitiche. Come è noto la Cina ha delle rivendicazioni marittime che sono state rigettate dal tribunale internazionale dell’Aia. In breve, la “nine-dash line”, usata dalla Cina per delimitare le proprie rivendicazioni nel mar Cinese Meridionale, è in contrasto e di fatto viola UNCLOS da loro ratificata.
Posizione ovviamente non accettata dal Governo cinese che attraverso la Corte Suprema del Popolo, il più alto organo giudiziario cinese, ha recentemente notificato al Congresso Nazionale del Popolo che la giurisdizione della Corte si estende a tutte le aree sotto il “controllo sovrano” cinese, compresi i “mari giurisdizionali” come quelli amministrati dalla prefettura di Sansha, nella Provincia di Hainan, che comprendono alcune isole e atolli del Mar Cinese meridionale tra cui le Isole Spratly, le Isole Paracelso e le Isole Zhongsha.
Sebbene non riconosciuto dal diritto internazionale, la Cina usa il termine “mari giurisdizionali” per descrivere un insieme di aree marittime che va dalle acque interne al mare territoriale, le sue zone contigue, la sua zona economica esclusiva (ZEE), la piattaforma continentale comprese le aree marine rivendicate da Pechino.
Una storia vecchia
La questione delle isole (un tempo undici) risale al 1947, quando l’allora governo cinese nazionalista, che oggi ha sede a Taiwan, fece alcune vaghe rivendicazioni su una serie di isole disabitate nel mar Cinese Meridionale, alcune delle quali a migliaia di chilometri dalle coste cinesi e a poche decine da quelle di Vietnam, Filippine e Malesia. Unendo questi puntini si ottiene una delimitazione geografica con una forma ad “U” che, in pratica, interessa l’intero Mar Cinese Meridionale.
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A map of South China Sea Claims and Boundary Agreements. Source: U.S. Department of Defense’s Annual Report on China to Congress, 2012 – Fonte U.S. Department of Defense South China Sea Claims and Boundary Agreements 2012.jpg – Wikimedia Commons
Nel 1949, con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese comunista, il nuovo governo rivendicò nuovamente la proprietà senza però mai chiarire sia i confini delle aree che rivendicava sia le motivazioni (anche se ben comprensibili) per possedere un’area così lontana dalle loro coste.
In realtà la Cina ha cercato di rivendicare quelle aree marittime, definite giurisdizionali, sulla base di non chiari diritti storici … che non trovano alcun riscontro nella UNCLOS. Per quanto sopra, il termine “giurisdizionale” appare essere giustificativo per un solo uso interno, mettendo in essere implicazioni legali interne potenzialmente vaste, specialmente nel diritto penale. Secondo Sarah Lohschelder “ Ad esempio, le navi non cinesi che pescano nelle acque contese del Mar Cinese Meridionale possono essere conformi al diritto internazionale del mare, ma possono violare le leggi nazionali cinesi, esponendo potenzialmente i pescatori a una reclusione fino a un anno. Allo stesso modo, l’equipaggio straniero che impegnarsi legalmente in un passaggio innocente ai sensi del diritto internazionale, ma contro la volontà del governo cinese, può anche essere condannato a un anno di reclusione. In entrambi i casi, la Cina concede alla propria magistratura il potere di interferire nei diritti concessi agli stranieri dal diritto internazionale, migliorando così il controllo cinese sulle acque internazionali e contese come il Mar Cinese Meridionale. La Corte Suprema del Popolo, il più alto organo giudiziario cinese, ha recentemente notificato al Congresso Nazionale del Popolo che la giurisdizione della corte si estende a tutte le aree sotto il “controllo sovrano” della Cina, compresi i “mari giurisdizionali”…”.
Questa tendenza troverebbe conferma nella riforma che ha centralizzato le agenzie marittime cinesi nel 2013 con il raggruppamento di quattro agenzie marittime (China Marine Surveillance, Maritime Police (parte del dipartimento di controllo delle frontiere e in precedenza sotto il ministero della pubblica sicurezza), le forze dell’ordine cinesi sulla pesca (ex ministero dell’agricoltura) e la polizia anti-contrabbando marittima (già sotto l’amministrazione generale delle dogane) nel comando della Guardia costiera cinese) in un’unica struttura denominata State Oceanic Administration (SOA).
Una possibile riorganizzazione che si presta per ottenere una “gestione strategica del mare”, un disegno machiavellico per ottenere il dominio marittimo dei mari vicini alla Cina in tempo di pace. Tra le azioni cinesi ipotizzabili, una revisione della legge sulla sicurezza marittima per esercitare un maggiore controllo sulle sue acque interne e territoriali che potrebbero includere la richiesta alle navi straniere di richiedere il permesso di attraversare il mare territoriale cinese, violando, secondo gli Stati Uniti, il principio del diritto di passaggio innocente previsto nella 3 Sezione della convenzione UNCLOS.
SEZIONE 3 PASSAGGIO INOFFENSIVO NEL MARE TERRITORIALE |
Articolo 17 Alle condizioni della presente convenzione, le navi di tutti gli Stati, costieri o privi di litorale, godono del diritto di passaggio inoffensivo attraverso il mare territoriale |
Articolo 19 |
1. Il passaggio è inoffensivo fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero. Tale passaggio deve essere eseguito conformemente alla presente convenzione e alle altre norme del diritto internazionale. |
2. Il passaggio di una nave straniera è considerato pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero se, nel mare territoriale, la nave è impegnata in una qualsiasi delle seguenti attività: |
Va compreso che con il termine passaggio inoffensivo attraverso il mare territoriale si intende un transito attraverso il mare territoriale che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero. Per cui le attività di esercitazioni militari sono escluse. Secondo l’articolo citato, ulteriori revisioni darebbero alle autorità cinesi il potere di fermare ed espellere navi straniere che violano la legge o i regolamenti cinesi mentre transitano, operano o sono ancorate nel mare territoriale o nelle acque interne ed estendendo il diritto di inseguimento alle non chiare “acque giurisdizionali” cinesi ben oltre quanto previsto dall’articolo 21. In realtà l’articolo 21 è piuttosto chiaro in tal senso.
Articolo 21 Leggi e regolamenti dello Stato costiero relativi al passaggio inoffensivo |
Lo Stato costiero può emanare leggi e regolamenti, conformemente alle disposizioni della presente convenzione e ad altre norme del diritto internazionale, relativamente al passaggio inoffensivo attraverso il proprio mare territoriale, in merito a tutte o a una qualsiasi delle seguenti materie: |
2. Tali leggi e regolamenti non debbono interessare la progettazione, la costruzione, l’armamento o l’allestimento di navi straniere a meno che non diano attuazione a regole internazionali o standard generalmente accettati. |
3. Lo Stato costiero dà opportuna diffusione a tali leggi e regolamenti. |
4. Le navi straniere che esercitano il diritto di passaggio inoffensivo nel mare territoriale si attengono a tali leggi e regolamenti e a tutte le norme internazionali generalmente accettate relative alla prevenzione degli abbordi in mare |
A questo punto, ci possiamo domandare, se questi sviluppi possano far parte degli sforzi più ampi della Cina di utilizzare il diritto interno come veicolo per consolidare ulteriormente le sue rivendicazioni marittime nel Mar Cinese Meridionale. Se da un lato l’articolo 21 prevede la possibilità di ogni Stato di emanare leggi e regolamenti interni relativamente al passaggio inoffensivo attraverso il proprio mare territoriale, il casus belli è da ricercarsi nel soggetto di applicazione. Il problema resta quindi nell’area di giurisdizione che Pechino ha occupato nonostante non gli sia stata riconosciuta a livello internazionale.
Le soluzioni appaiono ancora molto lontane e la tensione fra Cina e Stati Uniti sta aumentando. Gli Stati Uniti hanno previsto un rafforzamento militare nell’area tra l’isola giapponese di Okinawa fino a Guam. Una situazione esplosiva se raffrontata alla tensione tra Cina e Taiwan.
Forse sarebbe opportuno che alla dissuasione si unisca una maggiore capacità diplomatica, in particolare da parte degli Stati Uniti che potrebbero mostrare la buona volontà ad addivenire ad un compromesso, ad esempio ratificando la Convenzione UNCLOS, un passo politico importante per poter poi mediare un’equazione che non presenta una sola incognita.
Perché gli USA non hanno ratificato UNCLOS
Storicamente la mancata ratifica da parte degli Stati Uniti di UNCLOS era giustificata perché violava la loro sovranità, dando “troppo potere” ai paesi comunisti come l’Unione Sovietica. In realtà, gli Stati Uniti, anche dopo la fine della Guerra Fredda e dopo gli ampi cambiamenti alla Convenzione accettati nel 1994, si sono rifiutati di ratificare l’accordo anche quando il presidente Reagan aveva dimostrato di accettarne la maggior parte dei contenuti, considerandolo basato sul “diritto internazionale consuetudinario“.
Le ragioni più recenti sollevate da Washington sono legate sia al comportamento aggressivo della flotta peschereccia cinese, che sta depredando vaste aree marine del Pacifico e dell’Indiano, distruggendo le piccole economie locali, sia alla cessione della sovranità all’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA), che secondo la Convenzione ha la supervisione sull’estrazione mineraria nei mari.
Questo secondo punto di attrito è legato al fatto che gli Stati Uniti, contando sulla loro superiorità tecnologica, non vogliono precludersi la possibilità di scavare liberamente in alto mare per sfruttare le ingenti risorse minerarie negli oceani. Una giustificazione questa che non è però suffragata dalle ultime revisioni della Convenzione che non richiederebbero agli Stati Uniti, proprio in virtù dell’articolo 21 di UNCLOS, di aderire a leggi o regolamenti ambientali diversi dai propri.
Il punto critico va quindi identificato nelle preoccupazioni per la politica cinese che tende ad allargare in maniera spregiudicata la sua area di influenza marittima, prendendo il controllo delle linee di comunicazioni vitali per il traffico commerciale nell’indopacifico lungo la nuova via marittima della seta.
In sintesi, in una situazione sempre più tesa, irrigidirsi su posizioni di interesse geopolitico non aiuta a trovare una soluzione per la libertà dei mari del III millennio. In particolare, quelle isole rocciose in mezzo al mar cinese meridionale che continuano ad essere uno scoglio molto maggiore della loro estensione, restando una spina nel fianco di tutti per la stabilità del Pacifico.
Andrea Mucedola
in anteprima peschereccio costiero cinese sul fiume Nandu, Haikou. Uno dei migliaia pescherecci che operano nelle acque costiere ma anche internazionali – Autore Anna Frodesiak – File:Fishing boat in Haikou 01.jpg – Wikimedia Commons
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Bibliografia
Sarah Lohschelder, Chinese Domestic Law in the South China Sea | Center for Strategic and International Studies (csis.org)
Aditya Singh Verma, A Case for the United States’ Ratification of UNCLOS | Diplomatist
Andrea Mucedola, Quali sono i problemi per lo sfruttamento dei noduli di manganese, ma non solo, negli abissi marini? • (ocean4future.org)
Gino Lanzara, INDO-PACIFICO: La guerra non attende • (ocean4future.org)
Mucedola Andrea, Dalla regola delle tre miglia alle Convenzioni ONU sulle leggi del mare • (ocean4future.org)
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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