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I cantieri navali di Ravenna e le grandi navi ellenistiche – parte II

tempo di lettura: 8 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE ROMANA
PERIODO: I SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Caligola, Gaio Giulio Cesare Germanico
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In epoca antica, la felice posizione di Ravenna al centro di un’ampia laguna comunicante con il mare [29], in una situazione alquanto simile a quella che conosciamo per Venezia, venne apprezzata da Cesare durante ed allo scadere del suo lungo proconsolato in Gallia [30]. Fu poi suo figlio adottivo a sfruttare in grande stile le potenzialità portuali e cantieristiche di quel sito [31], per costruirvi gran parte della flotta necessaria all’avvio della guerra Sicula [32].

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Ottaviano, pontefice massimo, I secolo

Ottaviano non sarebbe ricorso a Ravenna, in posizione talmente decentrata rispetto alla primaria aerea di operazioni nel basso Tirreno se le relative capacità cantieristiche non fossero già comprovate. È peraltro possibile che fra le navi ch’egli fece costruire a Ravenna nell’inverno 39-38 a.C. vi fossero anche delle liburne, visto che due anni dopo egli si imbarcò su una di quelle unità quando subì un imprevisto attacco navale nelle acque di Taormina [33]. Quando egli tornò nell’Adriatico per la guerra Dalmatica, la sua flotta impegnata nella cattura delle navi dei Liburni che si erano dati alla pirateria deve aver nuovamente utilizzato Ravenna come base logistica [34].

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Nave in costruzione a Ravenna ad opera del faber navalis Publio Longidieno (Museo Nazionale di Ravenna. Foto D. Carro)

La successiva scelta di tale città come sede di una delle due maggiori flotte permanenti istituite da Ottaviano Augusto dopo la vittoria aziaca risultò coerente con le esperienze precedentemente maturate e comportò l’esecuzione di grandi lavori per rendere pienamente efficiente la nuova base navale [35]. Il potenziamento dei cantieri navali fu una conseguente necessità: esso venne anche favorito dall’onda di dinamismo e di benessere che investì l’intera regione alto-adriatica all’epoca dei primi Cesari [36], nonché dalla crescente presenza a Ravenna di maestranze specializzate. Queste ultime furono anche alimentate dall’afflusso di operai, marinai e classiari provenienti dall’altra sponda del mare e recanti con sé anche le abilità, le competenze e le tradizioni navali dei Liburni [37]. Le fonti epigrafiche, ancorché riferibili soprattutto al II e III secolo, confermano tali dati ed evidenziano la tendenza dei membri degli equipaggi a rimanere a Ravenna anche dopo il congedo, divenendone quindi cittadini a tutti gli effetti [38]. A margine dobbiamo osservare che, non essendo rimasta traccia delle analoghe iscrizioni del I secolo [39], non potremmo attenderci di trovare epigrafi di membri degli equipaggi delle deceres Liburnicae di Caligola.

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Bassorilievo della Colonna Traiana che mostra, alle spalle dell’imperatore (in piedi, a poppa della propria nave praetoria), i tetti a volta dei navalia di Classe, base navale di partenza della flotta romana all’inizio della seconda campagna Dacica. (Foto D. Carro)

Alcuni ulteriori dati sui cantieri navali di Ravenna sono desumibili dalle fonti iconografiche: in particolare, l’esistenza di una fiorente attività cantieristica civile (rappresentata dal faber navalis Longidieno) per il naviglio mercantile e la capacità di realizzare anche navi di grandi dimensioni, come le onerarie maggiori e probabilmente anche le robuste lapidariae [40]. Dall’iconografia abbiamo anche una possibile vista dei navalia della base navale di Classe: essi sono rappresentati sullo sfondo della scena della colonna Traiana relativa alla partenza della flotta per la seconda guerra Dacica [41]. Quel bassorilievo è stato peraltro giudicato come la più sicura illustrazione antica di navalia romani [42].

Le grandi poliremi ellenistiche
Per poter parlare di poliremi occorre innanzi tutto aver ben chiaro che di realmente chiaro su tale argomento non possediamo nulla [43]. Gli antichi avevano dinnanzi agli occhi qualcosa di talmente evidente, che non ritennero utile descrivere le ovvietà; ma quello spettacolo ci è purtroppo precluso. Sull’iconografia non possiamo mettere la mano sul fuoco [44], mentre le varie ipotesi moderne continuano a destare alterne perplessità [45], non configurando quella limpida ed immediata evidenza che sembra aver caratterizzato l’antica concezione del remeggio [46]. Ai nostri fini sarà allora sufficiente prendere la numerazione che contraddistingue i vari tipi di navi [47] dell’antichità greco-romana come un non meglio definibile indice della loro potenza remiera e, di conseguenza, della loro grandezza. Fino a prova contraria parrebbe comunque logico continuare ad accogliere il verosimile limite di due o al massimo tre livelli di scalmiere [48] per tutte le poliremi superiori alle triremi [49].

La corsa al gigantismo delle poliremi iniziò, com’è noto, con la rivalità fra gli ambiziosi ex-luogotenenti di Alessandro Magno che si impossessarono delle più appetibili regioni del suo effimero impero. Iniziò Tolomeo Sotere, cui venne attribuita la realizzazione di navi da XII [50], dopo aver combattuto contro Antigono Monoftalmo e suo figlio Demetrio Poliorcete, che costruirono invece navi da XV e da XVI [51]. Una nave altrettanto potente potrebbe poi essere stata efficacemente utilizzata dal figlio di quest’ultimo, Antigono Gonata [52]. I limiti massimi furono raggiunti da Tolomeo II Filadelfo (il costruttore della Biblioteca, del Museo e del Faro di Alessandria), che si dotò di una flotta imponente, le cui unità maggiori furono due XXX [53], e da Tolomeo IV Filopatore che cercò di compensare la propria inconsistenza con due colossi navali: un’unità marittima da XL (tessaracontera) [54] ed un mega-panfilo fluviale (thalamego) [55]. Di tutte le gigantesche poliremi ellenistiche, ci sono pervenute delle specifiche descrizioni solo per queste ultime due, nonché per quella che nel frattempo era stata costruita da Gerone II avvalendosi del genio di Archimede (la Siracusia) [56]: create per smania di ostentazione di grandeur, all’atto pratico si dimostrarono tutte inutilizzabili [57].

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tessaracontera

Occorre anche osservare che conosciamo queste sconcertanti super-poliremi attraverso pochissime fonti antiche ed in assenza di altri riscontri. Ad esempio, le monete emesse da Tolomeo I e dal suo avversario Demetrio Poliorcete mostrano una prora di nave sostanzialmente simile a quella della quinquereme che comparve qualche decennio dopo sulla prima monetazione romana [58]: solo le navi combattenti vere e proprie [59] furono dunque considerate idonee e credibili quale emblema del potere marittimo.

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tetradracma di Demetrio Poliorcete

Ciò nonostante, i regni ellenistici conservarono il gusto delle grandi poliremi allestite in modo sfarzoso [60], come si vide con le regie unità (da XVI) dei sovrani di Macedonia – Filippo V [61] e Perseo [62] – e con le navi di Cleopatra VII: quelle utilizzate come panfili regali [63] e quelle armate insieme ad Antonio per tentare di sbarcare in Italia. Le dimensioni delle maggiori navi (deceremi [64]) di questa flotta, fermata e sconfitta ad Azio, sono palesate dalle impronte lasciate dai loro rostri sul basamento del monumento eretto da Ottaviano a Nicopoli [65].

Dopo la battaglia navale di Azio, le grandi navi catturate in quelle acque vennero conservate per qualche tempo nella flotta imperiale creata a Forum Iulii (Fréjus) [66], mentre nelle nuove flotte permanenti di Miseno e Ravenna rimase tutta la gamma delle navi vittoriose, dalle quinqueremi [67] alle liburne, oltre ad una esareme come nave ammiraglia [68]. Delle gigantesche poliremi ellenistiche sopravvisse solo il ricordo, con un’ammirazione condizionata dalle riserve sulla loro valenza bellica e sulle loro effettive qualità nautiche [69].

Fine parte II – continua
Domenico Carro

 

articolo parte del saggio dell’autore  DECERES LIBURNICAE (romaeterna.org)

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Note
[29] Strab. 5,1,7; Proc. B.G. 1,1; cfr. Vitr. 1,4,11 e Sil. 8,601-2; Magnani 1998, p. 183; Venturini 2008, pp. 33-34.
[30] In quegli anni Cesare stabilì diverse volte il proprio quartier generale invernale a Ravenna: Caes. civ. 1,5,5; Flor. epit. 1,45,22; Suet. Iul. 30-31; App. civ. 2,32.
[31] Per l’abbondanza di legni necessari per le navi e per la presumibile presenza di carpentieri qualificati (Alfieri 1968, p. 205; Gnoli 2003, p. 5; Cirelli 2013a, p. 114).
[32] Ottaviano trasse da Ravenna diverse navi ivi costruite nell’inverno 40-39 a.C. e vi mise in cantiere molte altre unità nel successivo inverno 39-38 (App. civ. 5,78 e 80).
[33] App. civ. 5,111. La flotta di Ottaviano era costituita dalle 120 navi cedute da Antonio, oltre alle navi ravennati che il primo dovrebbe aver lasciato a Taranto nel precedente autunno (App. civ. 5,93 e 95).
[34] Reddé 1986, p. 350; Kos 2012, p. 94; Kurilic 2012, p. 115.
[35] Bermond Montanari 1961, p. 17; Magnani 2001, p. 39; Gnoli 2003, p. 6. Lavori emblematici furono la fossa Augusta e l’imponente faro (Plin. nat. 3,119 e 36,12).
[36] “È questa, con tutta evidenza, l’età d’oro della regione e dei suoi traffici.” (Panciera 2006b, p. 703).
[37] Gran parte di questo personale era originario della Dalmazia e della Pannonia: Tac. hist. 3,12,1 e 3,50,3; Ferrero 1878, p. 45; Forni 1968, p. 269; Bonino 1978, p. 30; Parma 2002, pp. 323-325.
[38] Susini 1961, pp. 37-38; Gnoli 2003, pp. 5-6.
[39] Susini 1961, pp. 36.
[40] Bonino 1978, pp. 33 e 36-38.
[41] È stato argomentato in modo convincente che quella partenza sia avvenuta proprio da Ravenna (Mazzarino 1979, pp. 179-182).
[42] Rankov 2013, pp. 39 e 47.
[43] Non vi sono delle reali certezze nemmeno sulla trireme, nonostante l’interessante tentativo di ricostruzione sperimentale della Olympias: cfr. Ingravalle 1990, p. 68, e Servello 1990, p. 88.
[44] Non credo autorevole siffatta iconografia e non mi compiaccio di fondarmici su. Tuttodì nell’araldica noi vediamo leoni ed aquile e draghi e liocorni e consimili bestie da blasone che in natura non fur mai. Guai se tenendo conto di quelle immagini fantastiche ripetute si ardisse costruire una fauna medioevale! (Vecchj 1892, p. 11)
[45] Reddé 1980, pp. 1036-1037.
[46] Con le ipotesi attualmente prevalenti, per esprimersi in modo rigoroso occorrono almeno quattro definizioni diverse a seconda della taglia delle unità: II-III, IV-VIII, IX-XVI, da XX in su (Basch 1987, p. 344).
[47] Per i Romani: bireme, trireme, quadrireme, quinquereme, ecc., dette in gergo tecnico diere (o dicrota), triere, tetrere, pentere, ecc., e contraddistinte dal simbolo del corrispondente numero romano sopralineato.
[48] Fori di uscita dei remi. Evito di parlare di “ordini di remi”, espressione foriera di equivoci data la sua apparente equivalenza con l’identica locuzione latina (dal controverso significato).
[49] Concedo fino a due ordini di palchi sovrapposti nelle massime antiche poliremi e nei dromoni di Bisanzio; più in là non so andare colla guida del buon senso (Vecchj 1892, p. 12). Alcuni ammettono anche la possibilità di un terzo livello, come per le triremi (Avilia et al. 1989, p. 142).
[50] Plin. nat. 7, 208.
[51] Plut. Demet. 20,4 e 43,4-5. Queste poliremi non comparvero alla battaglia navale di Salamina di Cipro (307 a.C.), in cui si fronteggiarono le navi di linea dell’epoca (quinqueremi e quadriremi), anche se Demetrio vi schierò anche qualche unità da VI e da VII (Diod. 19,49-52). Cfr. Polyaen. 4,7,7.
[52] Athen. 5,44. Questa nave, di cui si conosce decisamente poco, potrebbe coincidere con la polireme da IX citata da Paus. 1,29,1.
[53] Athen. 5,36. Oltre alle due XXX, vi erano una XX, quattro XIII, due XII, quattordici XI, trentasette VII, cinque VI, seguite dai tipi più comuni.
[54] Athen. 5,37. Va respinta l’ipotesi che si trattasse di un catamarano (Basch 1987, p. 352 ; Janni 1996, p. 437; Bonino 2003, p. 113).
[55] Athen. 5,38 -39.
[56] Athen. 5,40-44. Gerone, alleato di Roma dal 263 a.C., si liberò di quella nave troppo ingombrante inviandola in dono a Tolomeo III Evergete.
[57] Plut. Demet. 43,4; Vecchj 1892, p. 59; Basch 1987, p. 346 e 353; Bonino 2003, p. 156 e 172-173.
[58] Morello 2008, pp. 3, 6 e 9.
[59] Quadriremi e, soprattutto, quinqueremi, spesso accompagnate da alcune unità maggiori come navi ammiraglie: esaremi (o exaremi o sex-remi secondo Muratori 1740, p. 784) e septiremi.
[60] Mitridate VI Eupatore, re del Ponto, non fu da meno. Sappiamo infatti che solo all’inizio della sua terza guerra contro i Romani egli decise di togliere dalle sue navi gli sfarzosi appartamenti per le donne, i baldacchini d’oro ed i bagni per le concubine (Plut. Luc. 7, 5).
[61] Al termine della II guerra Macedonica i Romani la lasciarono al re sconfitto perché la giudicarono di difficile manovra (Liv. 33,30,5; Pol. 18,44,6).
[62] Questa nave, catturata al termine della III guerra Macedonica, venne portata a Roma ed immessa, con altre grandi poliremi macedoni, nei Navalia del Campo Marzio (Liv. 45,35,3 e 45,42,12; Pol. 36,5,7; Plut. Aem. 30,2).
[63] Sono ricordati il panfilo fluviale (thalamego) utilizzato per una crociera sul Nilo con Cesare (Suet. Iul. 52,1; App. civ. 2,90) e la splendida nave a bordo della quale incontrò Antonio in Cilicia (Plut. Ant. 26).
[64] Cass. Dio 50,23,2; Plut. Ant. 61 e 64.
[65] Murray 2007, pp. 446 e 449.
[66] Tac. ann. 4,5. Questa sistemazione dovrebbe essere avvenuta intorno al 29 a.C. (anno del trionfo di Ottaviano dopo la guerra Aziaca), ovvero una settantina di anni prima delle deceremi di Caligola.
[67] Sotto i primi Cesari, le quinqueremi rimasero in numero consistente, come si evince dal progetto della fossa Neronis (Suet. Nero 31).
[68] È ben nota la Ops della flotta di Miseno (CIL X, 3560 e 3611), ma non è escluso che ve ne fosse una anche a Ravenna (Bonino 1978, p. 32).
[69] Questo giudizio sembra aver influenzato l’aneddoto moralistico della nave immaginaria del re Eeta: enorme e ricolma di palazzi e giardini, ma destinata ad affondare miseramente nei primi marosi incontrati (Max. Tyr. 30).

 

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