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La politica navale ai tempi di Claudio – parte V

tempo di lettura: 11 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE ROMANA
PERIODO: I SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Claudio
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Il subentro dello zio Claudio
Fu così che Claudio, prudenzialmente emarginato dalla vita pubblica nei suoi primi 46 anni per volontà di Augusto [101] e rivitalizzato nei tre anni, dieci mesi e otto giorni del principato del nipote Gaio [102], pervenne a sorpresa – mirabili casu [103] – al soglio imperiale. Sebbene avesse respinto la proposta senatoria di damnatio memoriae per Caligola, il suo atteggiamento nei confronti del defunto nipote rimase formalmente equivoco e sostanzialmente ostile, ammesso ch’egli abbia davvero deciso di farne occultamente sparire ogni traccia e di annullarne tutti gli atti [104].

Pare comunque emblematica la sua scelta di chiamare Claudia l’acqua del grandioso acquedotto che il suo predecessore aveva costruito e che egli stesso completò, apponendo il proprio nome sulla vistosa iscrizione di Porta Maggiore, ove precisò addirittura di averlo finanziato con le proprie risorse [105].

Così come sarebbe stato insopportabile, agli occhi di Claudio, lasciare che quella meritoria opera in bella vista ricordasse a tutti il nome di Gaio Caligola, altrettanto imbarazzante doveva apparire la gigantesca porta-obelischi lasciata in esposizione a Pozzuoli. Dopo qualche anno la nave venne caricata con pesanti cassoni di cemento ed inviata davanti all’imboccatura del nuovo ed amplissimo porto marittimo di Roma fatto scavare dallo stesso Claudio a nord di Ostia: lì venne affondata per costituire il nucleo dell’isola artificiale sulla quale venne poi eretto il celebre faro [106]. Questa propensione di Claudio a sfruttare utilitaristicamente le opere del nipote per la propria gloria risultò evidente anche nel campo della strategia, quando giunsero a maturazione le azioni avviate da Caligola sui vari fronti.

In Mauritania, la vittoria arrise alle armi romane poco prima dell’assassinio di Gaio. Questo piccolo dettaglio cronologico non impedì a Claudio di accettare gli onori trionfali per quell’impresa compiuta sotto il principato del suo predecessore [107].

In Germania, l’epilogo vittorioso avvenne pochi mesi dopo la morte di Gaio, che aveva personalmente avviato quelle operazioni e ne aveva affidato la condotta a due uomini di valore: Gabinio vinse i Cauci e recuperò anche l’ultima delle aquile delle legioni di Varo rimaste in mani germaniche, mentre Galba sottomise i Catti. Questo bastò a Claudio per farsi attribuire la sua prima acclamazione ad imperator [108] .

In Britannia, il complesso di iniziative dissuasive ed organizzative intraprese da Gaio per far leva sul locale partito filoromano e predisporre l’invasione dell’isola diedero gli attesi risultati l’anno dopo: il re britanno Verica giunse a Roma e richiese la protezione e l’intervento dei Romani [109]. A quel punto la flotta era già pronta e l’esercito era celermente recuperabile dalla pacificata Germania, dove erano anche presenti le due nuove legioni create da Caligola.

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Percorso iniziale dell’andata di Claudio da Roma verso la Britannia e presunto itinerario seguito dallo stesso imperatore nel suo viaggio di ritorno in Italia, con un’anomala deviazione – implicante il valico delle Alpi (seguendo probabilmente il tracciato della via Claudia Augusta) – verso l’Adriatico

Il progettato viaggio imperiale ad Alessandria era ormai sfumato, ma Claudio stava comunque tenendo d’occhio le navi che per quell’esigenza erano state fatte approntare dal nipote a Ravenna. Nel frattempo egli aveva anche predisposto il proprio personale intervento in Britannia, dando precise istruzioni [110] al comandante in capo dell’operazione, Aulo Plauzio. In linea con i più ottimistici obiettivi delle misure adottate da Caligola, la campagna britannica si risolse senza affanni ed in brevissimo tempo [111]. Lo stesso Claudio rimase nell’isola solo sedici giorni, durante i quali riuscì comunque a collezionare un gran numero di acclamazioni ad imperator, sebbene non fosse mai stato lecito ricevere questo titolo più di una volta in una stessa guerra [112]. Per la vittoria in Britannia, moltissimi nuovi onori gli furono decretati dal Senato [113] ed altri se li prese da sé, come quella corona navale ch’egli si volle attribuire per aver varcato l’Oceano [114]. Gli allori navali erano peraltro destinati ad essere idealmente rinverditi, otto anni dopo il trionfo, dal grande spettacolo di naumachia organizzato sul lago Fucino [115].

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La Porta Aurea di Ravenna, riprodotta in un disegno del Palladio (Museo Civico di Vicenza)

Il trionfo britannico
In questa sede risulta particolarmente interessante quanto Claudio fece nel suo percorso di ritorno dalla Britannia, impiegandovi un tempo alquanto lungo, visto che il suo rientro a Roma avvenne dopo un’assenza di sei mesi [116]. Sebbene il percorso esatto ch’egli seguì non sia stato riferito dalle fonti antiche, le ipotesi più attendibili delineano una breve permanenza in Gallia – con sosta a Lione, sua città natale, e forse una visita alle memorie paterne [117] – seguita da una “marcia trionfale” attraverso varie città dell’Italia settentrionale in direzione di Ravenna, ove l’imperatore potrebbe essere giunto per via fluviale, per poi sostarvi nei primi mesi del 44 [118].

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Bassorilievo proveniente da un monumento eretto a Ravenna probabilmente in occasione dell’arrivo di Claudio dalla Britannia. I personaggi rappresentati su questo frammento dovrebbero essere, da destra verso sinistra, il Divo Augusto, Antonia Minore, Germanico e Druso Maggiore, ovvero – rispettivamente – il prozio, la madre, il fratello ed il padre di Claudio (Museo Nazionale di Ravenna. Foto D. Carro)

Il soggiorno di Claudio a Ravenna ha lasciato due testimonianze emblematiche: la Porta Aurea – ingresso monumentale della città a breve distanza dal porto – costruita un paio di anni prima ma completata con motivi trionfali in occasione dell’arrivo dell’imperatore, cui era dedicata [119], ed i pregevoli rilievi scultorei provenienti da un altare – forse copia dell’ara gentis Iuliae sul Campidoglio – ed intesi ad esaltare la gloria della famiglia imperiale ed i tenui legami fra il divo Augusto ed il principe in carica [120]. La sola esplicita testimonianza scritta del passaggio di Claudio a Ravenna proviene tuttavia dal noto passo di Plinio il Vecchio che parla del porto Vatreno (alla foce del Po prossima a Ravenna), da cui Claudio, trionfante sulla Britannia, entrò nell’Adriatico su di una nave gigantesca come un vero e proprio palazzo [121].

Anche se la presenza della nave nel predetto porto [122], collegato a Ravenna dalla fossa Augusta, sembra voler indicare la sua provenienza da una navigazione fluviale [123], Plinio evoca l’immagine di una successiva navigazione marittima svolta al largo [124], nel clima “trionfale”: un evento da intendersi quindi come un festoso e solenne incontro in mare – sul genere di una rivista navale – con le altre navi della flotta Ravennate [125].

Siamo dunque infine giunti a questa atipica e stupefacente “nave-palazzo”, cui viene attribuita un’origine ravennate [126] ed in cui, pur in assenza di ogni altra informazione, parrebbe difficile non riconoscere l’inconfondibile paternità del giovane Gaio Caligola, le cui deceres Liburnicae dovevano logicamente trovarsi ancora lì. Queste navi ebbero quindi un ruolo non trascurabile nell’indurre Claudio all’anomala deviazione [127] fino a Ravenna prima di rientrare a Roma. Irresistibile dovette infatti apparire, ai suoi occhi, la prospettiva di sfruttare per la propria gloria anche le fascinose deceremi del nipote, prima di abbandonarle all’oblio [128], forse adagiate su qualche fondale come accadde alla porta-obelischi ed alle navi di Nemi.

Conclusione
Com’è avvenuto per tutti i risultati positivi conseguiti da Gaio Caligola, anche le pur notevoli sue deceres Liburnicae sono state ignorate da pressoché tutte le fonti antiche, pregiudizialmente ostili al giovane e spregiudicato imperatore. Ciò nonostante, dovendosi ragionevolmente ravvedere nella gigantesca nave utilizzata da Claudio nelle acque di Ravenna una delle deceremi del nipote [129], e correlando queste due esili tracce [130] con tutti gli altri aspetti fin qui esaminati, possiamo pervenire alla seguente ricostruzione a grandi linee.

Messe in cantiere non più tardi dell’autunno 38 d.C. [131], probabilmente sugli scali della base navale della classis Ravennatis, le deceremi di Caligola furono realizzate con la tecnologia liburnica, di cui a Ravenna vi era una consolidata esperienza, sia fra i fabri navales, sia fra i carpentieri e gli operai specializzati, molti dei quali provenienti dalle famiglie dei classiari originari dalla Dalmazia. Si trattava verosimilmente di due unità gemelle, anche se una sola era destinata ad imbarcare l’imperatore, mentre l’altra doveva avere funzioni di riserva e di supporto alla prima [132]. Esse erano il frutto di un progetto originale tutto romano [133], inteso a realizzare delle grandi poliremi dotate di buone qualità nautiche – tenuta al mare, velocità e manovrabilità – mediante l’oculato adattamento dei criteri di costruzione delle ben più piccole liburne. Si trattava di una rielaborazione delle esperienze altrui, con quel tipico pragmatismo romano che, nel campo della cantieristica navale, aveva già consentito delle felicissime innovazioni, come ad esempio le quinqueremi veloci delle Egadi [134] e le actuariae “da sbarco” di Cesare [135].

Le nuove deceremi romane avevano uno scafo di foggia militare [136], ma delle sovrastrutture appropriate alla loro funzione di rappresentanza, più da navi di bandiera [137] dell’imperatore che non da fatui mega-panfili di piacere. La loro funzione avrebbe dovuto trovare il primo e più importante impegno nel progettato viaggio ad Alessandria.

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Riepilogo grafico dei movimenti delle navi pretorie di Gaio Caligola: 1) possibili trasferimenti delle deceres Liburnicae da Ravenna al Tirreno (con sosta a Miseno e prove in mare con il principe a bordo) e ritorno; 2) ultima navigazione del giovane imperatore su di una quinquereme.

Le navi devono essere state approntate entro la primavera del 40, venendo quindi trasferite nel Tirreno, probabilmente per completare il loro allestimento a Miseno sotto la supervisione di Gaio, che amava curare personalmente l’estetica delle strutture di cui disponeva ed ogni particolare relativo alle decorazioni interne ed all’arredo, come riferito da Filone di Alessandria che lo vide all’opera [138]. Da quanto conosciamo delle navi di Nemi, possiamo essere certi che, anche – ed a maggior ragione [139] – per le deceremi, il risultato fu tale da colpire di stupore ed ammirazione i contemporanei che ebbero occasione di vederle, affascinati tanto dalla loro maestosa imponenza, quanto dal loro stile elegante e raffinato.

La loro mole doveva essere pressoché equivalente a quella della Siracusia di Gerone II, la grande polireme che, a sua volta, presentava molte analogie con la prima nave di Nemi [140]. A differenza delle due navi lacustri di Caligola, che sostenevano delle pesanti costruzioni in muratura con marmi e colonne alte fino a cinque metri, le deceremi dovevano avere sovrastrutture più leggere ed idonee a sopportare le brusche ed ampie sollecitazioni del moto ondoso del mare, pur presentando l’aspetto di un palazzo imperiale, con portici, triclini, terme e giardini pensili [141]. Particolare impressione dovevano suscitare le dimensioni degli alberi della velatura (come accadde per la coeva porta-obelischi) ed il grande aplustre scintillante di gemme [142].

Dopo aver trascorso l’estate nelle acque della Campania, imbarcando anche il principe per alcune navigazioni di prova e di piacere [143], le deceres Liburnicae tornarono in autunno nell’alto Adriatico, per predisporsi, unitamente alle unità di scorta, al viaggio imperiale in Oriente. Nel suo ultimo inverno, pertanto, Gaio effettuò le proprie navigazioni nel Tirreno a bordo di una quinquereme [144]. Le sue splendide deceremi ebbero infine un’ultima occasione di visibilità grazie alla navigazione effettuata al largo di Ravenna da Claudio, uno studioso caparbio ed erudito, che da imperatore lasciò trasparire una certa tendenza alla ricerca compulsiva di onori e di rivalsa [145].

Questa è dunque la ricostruzione ipotetica che possiamo desumere dal complesso di informazioni frammentarie di cui disponiamo, e che risulta coerente con l’avveduta politica navale del terzo imperatore di Roma. È stato valutato che la scomparsa delle grandi poliremi ellenistiche, i cui ultimi esemplari (deceremi) si videro ad Azio, sia stata essenzialmente dovuta alla loro estrema complessità, che richiedeva delle competenze eccezionali [146]. In tale ottica, la comparsa delle deceres Liburnicae di Gaio Caligola ci appare come un sicuro indizio delle non comuni qualità presenti nel giovane imperatore che le concepì, nei cantieri navali ravennati che le costruirono e nel personale della classis Ravennatis che le fece navigare.

Domenico Carro

 

articolo parte del saggio dell’autore  DECERES LIBURNICAE (romaeterna.org)

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Note
[101] Essendo stato giudicato impresentabile (Suet. Claud. 4) rimase nell’ombra, mentre suo fratello Germanico assurgeva alla gloria, al potere e ad una straordinaria popolarità.
[102] Suet. Cal. 15,2 e 59,1. Da quando Caligola lo prese come collega nel suo primo consolato, Claudio riscosse dal Senato una deferente attenzione.
[103] Suet. Claud. 10. Questa mirabile (e sospetta) casualità stride con la furia dei pretoriani che trucidarono il proprio imperatore, con la moglie e la figlia di due anni, istigati da un Senato anelante a liberarsi definitivamente dei Cesari. Quell’efferato ammutinamento si ammansì improvvisamente alla vista di Claudio, che non era certamente una figura carismatica, ma si fece comunque trovare già pronto a succedere al nipote.
[104] Cass. Dio 60,4,5-6; Suet. Claud. 11,1 e 3.
[105] Plin. nat. 36, 122-123; Suet. Cal. 21; Suet. Claud. 20. Panciera 2006a, pp. 459-460. Vista l’imponenza dell’acquedotto, Plinio il Vecchio valutò che nulla può essere esistito di più grandioso in tutto l’orbe terrestre.
[106] Plin. nat. 16,201-202 e 36,70; Suet. Claud. 20; Cass. Dio 60,11,4.
[107] Cass. Dio 60, 8, 6.
[108] Cass. Dio 60,8,7; Suet. Gal. 8, 1; Plut. Gal. 3.
[109] Suet. Claud. 17; Cass. Dio 60, 19, 1. Evento del 42 d.C., anno successivo alla morte di Gaio. Claudio venne subito persuaso dal re britanno ed ordinò l’esecuzione della spedizione oltre-Manica a partire dalla seguente primavera.
[110] Doveva chiamarlo alle prime difficoltà incontrate, per consentigli di intervenire in pompa magna, con rinforzi ed elefanti (Cass. Dio 60,21,1-2; Polyaen. 8,23,5).
[111] Questo sbarco, sebbene effettuato con forze inferiori a quelle che erano state appena sufficienti al pur geniale Cesare, apparve un’impresa scarsamente contrastata, incruenta e di infimo rilievo bellico (Suet. Claud. 17,1-2).
[112] Cass. Dio 60, 21,4-5 e 23,1.
[113] Inclusa l’erezione a Roma di un arco di trionfo, la cui iscrizione precisa che la sottomissione dei re dei Britanni avvenne sine ulla iactura (CIL 6, 40416), ovvero senza subire alcuna perdita.
[114] Suet. Claud. 17.3; Reddé 1997, pp. 72-73. La corona navale era un’onorificenza rara ed ambita, conferita solo a chi aveva conseguito, come Agrippa, una memorabile vittoria navale su di una flotta temibilissima.
[115] Tac. ann. 12,56; Suet. Claud. 21; Mart. spect. 28,11-12; Cass. Dio 60,33.
[116] Suet. Claud. 17,2; Cass. Dio 60,23,l.
[117] Nella Germania superiore. In tal caso, egli avrebbe potuto giungere in Italia dalla via Claudia Augusta, passare da Verona e raggiungere Ostilia, navigando quindi sul Po fino alla foce meridionale, prossima a Ravenna.
[118] La Rocca 1992, pp. 265-267; Fasolini 2006, pp. 89, 110, 144-148.
[119] La Rocca 1992, pp. 270-274; Fasolini 2006, pp. 109 e 148-149; Cirelli 2013a, p. 112; Cirelli 2013b, pp. 123-124 e 128; De Maria 2015, pp. 19-24.
[120] La Rocca 1992, pp. 297-298 e 311-312; Cirelli 2013b, p. 133; De Maria 2015, pp. 24-25.
[121] Plin. nat. 3,119.
[122] Roncuzzi 2005, p. 31, Uggeri 2006, p. 10; Corti 2007, p. 267; Felletti 2008, p. 11.
[123] Alfieri 1968, p. 202; Bonino 1978, p. 37; Roncuzzi 2005, p. 31. Altrimenti la nave si sarebbe più logicamente dovuta trovare nell’ampio porto di Ravenna, accreditato di una capienza di 250 navi (Iord. Get. 29).
[124] Non si può escludere che la navigazione sia poi proseguita fino ad Ostia (La Rocca 1992, p. 267; De Maria 2015, p. 19), anche se sembrerebbe più verosimile il ritorno a Roma sulla più breve e più “trionfale” via Flaminia.
[125] Il conferimento del nome colonia Claudia Augusta Felix Iadera all’antica Zara, evidentemente scaturito dai meriti acquisiti agli occhi di Claudio dalla principale città della Liburnia, avvenne probabilmente in occasione dei festeggiamenti navali al rientro dalla Britannia (Kreglianovich Albinoni 1809, pp. 201-203).
[126] Bonino 1978, p. 37.
[127] Da Lione il percorso diretto era ovviamente quello fluviale sul Rodano e poi quello marittimo fino ad Ostia, ripercorrendo in senso inverso l’itinerario seguito nel viaggio di andata (Suet. Claud. 17,2 e Cass. Dio 60,21,3).
[128] L’assenza di ogni ulteriore notizia su quelle navi così appariscenti lascia intendere che esse non ebbero più alcun impiego di qualche rilievo.
[129] Ipotesi basata sulle affinità esistenti fra le descrizioni delle deceremi e della “nave palazzo”, sull’improponibilità di un’attribuzione della costruzione di quest’ultima a Claudio, nonché su quanto detto nella nota 100.
[130] Suet. Cal. 37,3 e Plin. nat. 3,119.
[131] Per i tempi di costruzione è stata presa a riferimento la valutazione formulata da Marco Bonino per le navi di Nemi (vedi precedente nota 82).
[132] Svetonio ne parla infatti al plurale. Data la loro eccezionalità, ipotizzarne più di due sarebbe difficilmente motivabile. La coppia appare invece coerente con la soluzione adottata a Nemi, sia pure per un’esigenza molto diversa.
[133] Come è stato riscontrato per le navi di Nemi (paragrafo 7). Molto saggiamente Caligola non volle far ricostruire le deceremi di settant’anni prima, che erano state condotte da suo bisnonno Antonio e sconfitte dall’altro suo bisnonno, Augusto: non vi fu dunque alcuna nostalgia per i modelli ellenistici del passato.
[134] I fabri navales romani avevano studiato la quadrireme di Annibale Rodio per progettare le quinqueremi veloci che vinsero i Cartaginesi nelle acque delle Egadi (Pol. 1, 47 e 59).
[135] Cesare aveva osservato le caratteristiche delle navi oceaniche dei Veneti transalpini e ne tenne conto nel progettare le sue 600 actuariae speciali per il secondo sbarco anfibio in Britannia (Caes. Gall. 3,13 e 5,1).
[136] Bonino 2003, p. 147.
[137] Nave praetoria per gli antichi, “ammiraglia” nel gergo mediatico.
[138] L’attenzione di Gaio nella cura dei particolari traspare bene dalle direttive ch’egli diede per il completamento dei lavori di ristrutturazione degli edifici delle sue proprietà sull’Esquilino (Phil. legat. 351, 358 e 364-365). Anche sulle navi di Nemi appare evidente la mano del giovane imperatore (Bonino 2003, p. 145).
[139] A differenza delle navi di Nemi, le deceremi hanno lasciato una traccia nelle antiche fonti letterarie.
[140] Bonino 2003, p. 149; ipotetica ricostruzione della Siracusia: pp. 169-173.
[141] Secondo le citate descrizioni di Plinio il Vecchio e Svetonio.
[142] Le poppe “gemmate” di cui parla lo stesso Svetonio.
[143] La fonte è sempre il predetto passo di Svetonio.
[144] Cfr. ultimo capoverso del paragrafo 7.
[145] Alcuni indizi piuttosto eloquenti sono stati illustrati nel paragrafo 8. Per un’analisi più approfondita dell’ambigua personalità di Claudio, cfr. Fasolini 2006, pp. 9-44.
[146] les hypergalères exigeaient des constructeurs, des équipages et des ouvriers d’arsenaux d’exception. (Basch 1987, p. 345)

 

 in anteprima dupondio di Claudio 41-50 d.C. – bronzo, RIC 94  

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