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Le straordinarie macchine da guerra di Archimede

tempo di lettura: 8 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: III SECOLO a.C.
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Archimede

 

Tutti abbiamo sentito parlare del principio di Archimede: lo abbiamo studiato a scuola e più o meno compreso …  eppure è uno di quei principi fisici che tutti abbiamo provato più volte sul nostro corpo.

Archimede afferma che corpo immerso in un fluido riceve una spinta (detta forza di galleggiamento) dal basso verso l’alto di intensità pari al peso della massa di fluido spostata. L’intuizione del grande scienziato siracusano vale per tutti i fluidi, e spiega perché una nave galleggia sull’acqua ma anche perché una mongolfiera sale verso l’alto.

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se la Forza A è maggiore della forza peso Fp il corpo di ugual volume galleggerà, in caso contrario o sarà neutro o affonderà

In parole semplici, perché una pesante nave di ferro galleggia?

Una nave occupa nello spazio un certo volume il cui peso è legato a quello dei materiali che la caratterizzano. Raffrontando il peso del suo volume con quello di un corpo di ugual volume d’acqua ci accorgeremmo che il peso della nave è minore. Per quanto sopra questa nave, immersa in un liquido, riceverà una spinta verso l’alto equivalente al peso del volume da lei spostato e galleggerà. Lo stesso discorso vale per un sommergibile che in emersione galleggia ma, per potersi immergere, dovrà, aumentare il suo peso allagando alcuni comparti interni.

Se l’esempio vi pare poco chiaro, immaginatevi un subacqueo che, per potersi immergere, deve appesantirsi con una cintura di piombi. Scendendo in profondità il suo assetto cambierà passando da positivo a neutro e poi negativo.  Per stabilizzarsi ad una certa profondità, il subacqueo dovrà quindi immettere una certa quantità di aria nel suo giubbotto, non a caso chiamato ad assetto variabile (GAV). Questa conoscenza la dobbiamo ad un grande scienziato siciliano, Archimede.

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Archimede, un gigante dell’epoca classica

Nel 215 a.C. la bella città di Siracusa, fondata da coloni corinzi nell’anno 733 a.C., dopo aver sconfitto le popolazioni sicule, crebbe in tempi rapidi e assoggettò i territori geograficamente vicini, diventando la maggior rivale dei Fenici di Cartagine e degli altri Greci in Sicilia. Al di la degli aspetti politici, Siracusa ospitò e coinvolse nella sua crescita i personaggi più conosciuti del mondo greco, storici, drammaturgi e studiosi, tra cui Eschilo, Senofonte, Platone ed il nativo Archimede che si distinse per il suo ruolo attivo nel contrastare l’assedio dei Romani nel 212 a.C..

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Archimede visse nel III secolo a.C. a Siracusa e può essere annoverato come uno dei più grandi scienziati e matematici della storia, potremmo dire un ingegnere i cui studi, che spaziavano nella meccanica, idraulica e ottica, erano finalizzati alla realizzazione delle sue teorie

Siracusa, potente città della Sicilia, si ribellò a Roma e, in quel frangente, Archimede progettò e costruì grandi e innovative macchine da guerra che consentirono alla città di resistere per quasi tre anni. Le fonti sulle sue straordinarie e visionarie invenzioni ci arrivano dai suoi scritti e da storici come Polibio, Livio e Plutarco che le descrissero basandosi a volte su racconti tramandati, restituendone immagini forse un pò colorite e apparentemente poco probabili. In realtà, in tempi moderni, appassionati di tecnologia di prestigiose Università americane hanno provato a riprodurre alcune di quelle armi, utilizzando materiali e tecnologie disponibili all’epoca; i loro esperimenti hanno confermato non solo la fattibilità della loro realizzazione ma anche la validità ingegneristica dei principi con cui erano state ideate.

Le sue macchine da guerra: tra mito e realtà

Come ricorderete dai racconti di storia, durante l’assedio Archimede progettò una serie di macchine da guerra per contrastare la potente flotta romana; Nonostante Siracusa fosse protetta da alte mura, la macchina bellica romana avrebbe potuto facilmente penetrare nella città per cui era necessario mantenerle ad una distanza di sicurezza. Archimede sviluppò grandi balestre e catapulte ma anche armi totalmente innovative come il famigerato Artiglio di Archimede, che utilizzava una gru ed un rampino per raggiungere e afferrare le galee romane, sollevandole per poi capovolgerle ed affondandole. Un’invenzione che ancora oggi appare di fantasia.

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il principio di funzionamento dell’artiglio – dalla ricerca sulle “macchine belliche di Archimede” di Gianmarco Picci

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In realtà, da studi moderni del MIT è risultato che lo scienziato siracusano aveva le conoscenze matematiche e meccaniche per costruire un tale dispositivo. In particolare, il suo lavoro pubblicato all’epoca “sulle leve” dimostra una conoscenza accurata delle forze e degli equilibri applicabili ad una macchina di sollevamento.  

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fantasiosa rappresentazione dell’artiglio di Archimede, un progetto teoricamente realizzabile dal grande siracusano ma di cui non si son conservati disegni – Parigi Greffe

Questo comporta che sarebbe stato possibile per lo scienziato siracusano progettare l’artiglio, utilizzando delle carrucole e un contrappeso per poter esercitare delle forze sufficienti a sollevare le triremi e scagliarle rovinosamente contro le rocce sottostanti le Mure della città siciliana. 

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“Il Sole come arma”, Opera pubblicata nel libro Magna Lucis et Umbrae (1646) dallo studioso gesuita tedesco Athanasius Kircher (circa 1601-1680). La stampa mostra una città costiera che utilizza specchi parabolici per focalizzare la luce del sole su un veliero, dandogli fuoco. I diagrammi in alto da sinistra a destra mostrano specchi parabolici, ellittici e circolari.

Una delle invenzioni belliche di Archimede più accattivanti fu la costruzione degli specchi ustori, un dispositivo in grado di focalizzare la luce solare sulle navi romane e incendiarle. Sembrerebbe che tale macchina da guerra consistesse in un insieme di lucidi schermi di bronzo o di rame disposti a parabola che concentravano la luce solare in un unico intenso raggio incendiario. Un “raggio della morte” ante litteram basato sul principio della focalizzazione che abbiamo studiato e visto nei laboratori scolastici di fisica durante i nostri studi. A differenza dell’artiglio questa arma risulta menzionata in testi molto successivi (Luciano 120 d.C. – 180 d.C. e Galeno 130 d.C. – 200 d.C.) che riferirono che Archimede diede fuoco alle navi usando specchi per focalizzare i raggi del sole.

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Incisione dal frontespizio di Opticae Thesaurus, un’edizione latina del Libro dell’ottica di Ibn al-Haytham che mostra come Archimede avrebbe dato fuoco alle navi romane con specchi parabolici durante l’assedio di Siracusa

Il dubbio che emerge è se Archimede fosse realmente in grado, con la tecnologia del tempo, di realizzare degli specchi di quel tipo? Il Massachusetts Institute of Technology ha testato l’invenzione utilizzando delle piastrelle a specchio da 30 cm, riuscendo a concentrare un raggio su una superficie e produrre una zona carbonizzata alla distanza di circa 30 metri. Un effetto possibile ma insufficiente per dare fuoco a grande distanza alle navi romane. Si potrebbe ipotizzare che in questo caso si tratti di una fake news studiata ad arte per incutere timore alla flotta romana. 

Più probabile potrebbe essere stata invece la realizzazione di una specie di cannone a vapore per sparare contro le navi romane proiettili di argilla contenenti del materiale incendiario. Un progetto curioso e decisamente innovativo che è stato testato dagli studenti di ingegneria del MIT con successo, utilizzando come base i disegni del progetto attribuito da Leonardo da Vinci ad Archimede.

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armi balistiche – dalla ricerca sulle “macchine belliche di Archimede” di Gianmarco Picci

Di fatto, la flotta romana comandata da Marco Claudio Marcello fu messa a dura prova dalle grandi catapulte costruite da Archimede che erano in grado di lanciare massi da 250 chili contro le navi a distanze variabili, come descritto da Polibio, ma anche da armi più piccole, come lo “Scorpione“, una piccola balestra fissata alle feritoie delle mura, in grado di lanciare micidiali dardi di ferro; armi concettualmente meno sofisticate dell’artiglio e degli specchi ustori ma sicuramente in grado di poter demoralizzare le truppe romane. 

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denario di  Marcello. Nel 214 a.C., Marco Claudio Marcello, un valoroso generale romano venne inviato come proconsole in Sicilia, per sedare la sommossa dei siracusani.

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Alla fine, Marco Claudio Marcello, a causa della forte resistenza dei Siracusani,  dovette ricorrere all’assedio per prendere per fame la città che, alla fine, cadde ma a causa di un traditore che fece entrare nella martoriata città le truppe romane.

Livio scrisse [1]  « … Marcello, una volta entrato in Siracusa attraverso le mura […] come vide davanti ai suoi occhi la città, che a quel tempo era forse fra tutte la più bella, abbia pianto in parte per la gioia di aver condotto a termine un’impresa così grande, in parte per l’antica gloria della città.»

Marcello era un abile soldato ma anche un amante della lingua e della cultura greca e per evitare che l’intera città fosse data alle fiamme, ricordandone l’antica gloria, mandò avanti quei Siracusani che in precedenza si erano uniti ai presidi romani, affinché con discorsi calmi e moderati, convincessero i Siracusani alla resa. Di fatto risparmiò le vite di gran parte degli abitanti ordinando ai suoi soldati di non ucciderli

Secondo Plutarco [2] «Ad un tratto entrò nella stanza [di Archimede] un soldato romano che gli ordinò di andare con lui da Marcello. Archimede rispose che sarebbe andato dopo aver risolto il problema e messa in ordine la dimostrazione. Il soldato si adirò, sguainò la spada e lo uccise.» Sempre Plutarco ci riferisce che dopo l’uccisione del grande matematico, Marcello, che aveva ordinato di non ucciderlo, deplorò l’assassinio: “distolse lo sguardo dall’uccisore di Archimede come da un sacrilego“[3] e lo fece mettere a morte.

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Edouard_Vimont 1846-1930 morte di Archimede

.Al di là della veridicità del racconto di Plutarco, con la morte di Archimede l’Umanità perse una delle menti più brillanti del suo tempo ma le sue straordinarie scoperte gli sono sopravvissute e sono ancora parte della nostra vita di ogni giorno.

Andrea Mucedola

 

immagini dal web e dalla ricerca sulle “macchine belliche di Archimede” di Gianmarco Picci

Note

[1] Livio, “Ab urbe condita” liber XXV, 24.11
[2] Plutarco, “Vita di Marcello”, 19
[3[ Plutarco, “Vita di Marcello”, 19

 


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