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livello elementare.
ARGOMENTO: MARINA MERCANTILE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: container
Nel 1961 il problema, ormai tale, fu affrontato dalla lnternational Organization for Standardization (ISO) definì le misure standard dei container, in uso ancora oggi. I concetti informatori per la definizione degli standard furono i seguenti:
- contenitore riusabile molte volte, permettendo il trasporto delle merci con diversi tipi di veicoli senza la necessità di manipolazioni nel corso del trasporto stesso;
- facile trasferibilità da un mezzo all’altro di trasporto;
- volume minimo di 1mc, tale da consentire l’introduzione della merce, nonché́ lo svuotamento, in modo rapido e con mezzi meccanici.
L’ISO definì̀ le caratteristiche di diversi tipi di container classificandoli in serie, di cui a continuazione si riporta la definizione basica. Le due misure principali sono, per quanto riguarda la lunghezza, 20 piedi (6,09 m.) e 40 piedi (12,18 m.); per entrambi i tipi l’altezza è di 8 piedi e 6 pollici (2,591 m.) e la larghezza di 8 piedi (2,438 m.). Il peso lordo massimo consentito è di Kg. 30.000, per cui ne consegue che il container da 20 piedi ha una possibilità di carico netto maggiore di quello da 40 piedi: rispettivamente Kg. 27.800 e Kg. 26.199. Nel corso degli anni la normativa ISO ha certificato anche misure diverse, sia in altezza (9 piedi e 6 pollici, 2,896 m.) creando la categoria di container “High Cube”, che di lunghezza: 45, 48 e 53 piedi. Questi ultimi sono però scarsamente usati perché la struttura cellulare della quasi totalità delle navi portacontainer è fatta per i 20 e i 40 piedi.
Una specifica importante derivante dai container da 20 piedi è il TEU (Twenty-foot Equivalent Unit) che indica la misura standard di riferimento del volume di carico di una nave portacontainer. La capacità di carico, ormai espressa in decine di migliaia di TEU, intesi come volume globale che è ovviamente composto da un mix di container da 20 e da 40 piedi; occorre sottolineare che si tratta di una misura di volume e non di peso, per cui dovrà essere sempre considerata la portata massima della nave. Se facciamo un esempio, riferito alle grandi (ma non massime) portate attuali, 16.000 TEU corrisponderebbero a 186.470 tonnellate, anche se la possibilità effettiva di carico può scendere anche di alcune migliaia di TEU.
differenti dimensioni dei container impiegati nel commercio marittimo al fine di facilitare i trasporti – Autore Kcida10 – Fonte https://3dwarehouse.sketchup.com/user.html?.Container sizes.jpeg – Wikimedia Commons
Negli anni hanno continuato ad esistere (seppur in progressiva diminuzione) misure “spurie”, generalmente superiori a 40’, con punte sino a 53’, che evidentemente non possono trovare collocazione nella struttura cellulare delle portacontainer: si tratta di soluzioni che eventualmente riguardano ormai solo imbarchi in stiva sulle sempre più scarse multipurpose o sulle RoRo; in questi casi questi container sono collocati sopra i ma-fi, delle specie di carrelli senza l’asse anteriore che vengono spinti (quando imbarcano) o trainati (quando sbarcano) dal trattore in dotazione della nave che ha il posto di guida girevole di 180°.
Tornando all’ evoluzione dei container, la guerra del Vietnam fu un punto di svolta, che ha rivestito un ruolo determinante nello sviluppo della containerizzazione. All’inizio del 1965, il governo degli Stati Uniti decise di rinforzare la presenza militare nel Sud Est Asiatico con gravi problemi di carattere logistico; Il Vietnam del Sud non era assolutamente preparato a sostenere una forza militare moderna come quella messa in campo dagli Stati Uniti, dotato di poche strade, una rete primitiva, un’unica linea ferroviaria in gran parte inattiva e un solo porto di acque profonde: Da Nang. Ancora una volta Malcom McLean fiutò un lauto affare nel quale avrebbe potuto coinvolgere la flotta di portacontainer della Sea-Land. I rifornimenti alle basi americane arrivavano più o meno con la stessa logistica della 2ᵃ Guerra mondiale o di quella della Corea, anche se in quest’ultima erano state fatte delle spedizioni in cassoni metallici anziché di legno. Gli alti comandi americani non vedevano di buon occhio le spedizioni delle merci in container considerandole erano difficili da maneggiare, con l’ulteriore problema della “restituzione dei vuoti”.
McLean, vincendo molte resistenze culturali, propose di fatto la terziarizzazione dei trasporti logistici e si aggiudicò un contratto per la costruzione di un terminale container a Cam Ranh Bay destinato a gestire i trasporti di merci militari tramite le portacontainer della Sea-Land dalla California al Vietnam. Nel 1969 si trovavano in Vietnam 540.000 effettivi delle FFAA degli Stati Uniti e le navi della Sea-Land consegnavano una media di 1.200 container al mese di rifornimenti essenziali, che fu possibile soddisfare considerato che già a partire dal 1968 il mercato marittimo era stato caratterizzato da un trend via via crescente nella costruzione di navi portacontainer, ed in quello stesso anno erano state costruite 18 navi, di cui dieci con un una capacità di 1.000 TEU, non indifferente per quel tempo. Nel 1969 furono costruite 25 unità, di portate sempre crescenti che arrivarono a sfiorare i 2.000 TEU.
L’evoluzione delle navi portacontainer – da Impacts of Containership Size, Service Routes, and Demand on Texas Gulf Ports, di Robert Harrison e Miguel Figliozzi, estratto da Source: JoC Week; Jan. 15-21, 2001 Figure 2.2. How Containerships Have Grown https://rosap.ntl.bts.gov/view/dot/14826
Ancora sulla fine degli anni 60 non tutti gli armatori, tra cui quelli europei ed in particolare quelli italiani che mantenevano i traffici con Africa ed Oceano indiavano erano convinti del sistema, e valutarono sistemi alternativi, o misti. Tipico di questo furono in Italia le quattro navi della Flotta Lauro (costruite con sovvenzione statale anche per la loro convertibilità in trasporti militari) Tigre, Pantera, Gazzella Leone; probabilmente le navi italiane mai costruite con bighi di grande portata (che consentivano capacità autonome di movimentazione sino a 150T di carico unitario).
Fine parte – continua
Gian Carlo Poddighe
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Ufficiale del Genio Navale della Marina Militare Italiana in congedo, nei suoi anni di servizio è stato destinato a bordo di unità di superficie, con diversi tipi di apparato motore, Diesel, Vapore, TAG. Transitato all’industria nazionale ha svolto incarichi di responsabilità per le costruzioni della prima legge navale diventando promotore delle Mostre Navali Italiane. Ha occupato posizioni dirigenziali sia nel settore impiantistico che delle grandi opere e dell’industria automobilistica, occupandosi della diversificazione produttiva e dei progetti di decarbonizzazione, con il passaggio alle motorizzazioni GNV.
E’ stato membro dei CdA di alcune importanti JV internazionali nei settori metallurgico, infrastrutturale ed automotive ed è stato chiamato a far parte di commissioni specialistiche da parte di organismi internazionali, tra cui rilevanti quelle in materia di disaster management. Giornalista iscritto all’OdG nazionale dal 1982, ha collaborato con periodici e quotidiani, ed è stato direttore responsabile di quotidiani ricoprendo incarichi di vertice in società editoriali. Membro di alcuni Think Tank geopolitici, collabora con quotidiani soprattutto per corrispondenze all’estero, pubblica on line su testate del settore marittimo e navale italiane ed internazionali. Non ultimo ha pubblicato una serie di pregevoli saggi sull’evoluzione tecnologica e militare sino alla 2^ Guerra Mondiale, in particolare della Regia Marina, pubblicati da Academia.edu.
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