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Il valore strategico di una Marina Militare

tempo di lettura: 8 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Strategia marittima

 

Quando parliamo di valore, dobbiamo pensare soprattutto alla creazione di qualcosa di positivo per la comunità di cui si è parte. Un oggetto ha valore per l’utilità o per l’importanza che esso ha per l’individuo che lo possiede (un oggetto può esserci caro perché ci ricorda qualcuno che non c’è più), piuttosto che per il suo valore o costo monetario.

Dovrebbe essere chiaro a tutti che la Marina Militare rappresenta un valore irrinunciabile per il nostro Paese e che per questo motivo è necessaria una strategia che consenta l’ottenimento del massimo risultato economico e politico.

A ciò si deve aggiungere che il valore di un investimento non è solo legato alla produzione di ricchezza: il valore, infatti, può essere non misurabile, ma rappresentare una positività per la collettività, come per esempio gli investimenti in cultura e formazione o quelli in opere pubbliche come porti, strade o nelle reti comunicative.

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La costruzione e l’efficacia delle supply chains sono qualcosa di elevato valore ma spesso, poiché derivanti da un investimento statale, tendono a essere sottostimate o, peggio ancora, considerate una passività. Ciò è naturalmente sbagliato in quanto tutto ciò entra in un importante contesto che nel CeSMar abbiamo indicato come strategia delle risorse ovvero una perfetta interazione e integrazione tra mondo privato e pubblico, tesa a perseguire un fine superiore come il potere marittimo. Questa strategia deve poter puntare a una crescita innovativa, sostenibile e inclusiva al fine di rispondere alle esigenze nazionali nel rispetto delle spinte sociali e politiche del momento.

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Potere Marittimo e Blue Economy
Il potere marittimo è strettamente legato alla cosiddetta blue economy, vale a dire tutte le attività commerciali e di sviluppo legate ai mari, visti come opportunità di comunicazione e scambio. Va sottolineato che gli effetti di questo processo virtuoso non si esauriscono sulla costa ma entrano all’interno delle regioni che si affacciano sul mare, contribuendo in maniera sostanziale al loro sviluppo sociale e culturale. È per tutti evidente che le attività economiche a connotazione marittima sono influenzate sia da conflittualità endemiche dovute a rivalità sia da scarsità di risorse assegnate, ma soprattutto sono fortemente condizionate dalle tendenze geopolitiche, geoeconomiche e tecnologiche. Il mare conta moltissimo nell’economia mondiale, al punto da rappresentare il 90% dei traffici di merci e il 98% delle comunicazioni digitali, grazie a oltre 1.200.000 km. di cavi sottomarini. Anche per l’Italia il mare rappresenta un’opportunità da un lato e un’esigenza dall’altro. Un’esigenza in quanto i confini marittimi rappresentano l’85% di tutti i confini nazionali, ma soprattutto perché il 34% degli italiani vive in vicinanza della costa e spesso dal mare trae sostentamento.

Opportunità è invece una conseguenza della nostra collocazione geografica e della scarsità di risorse disponibili sul nostro territorio, che ci hanno costretto a diventare storicamente un paese di trasformazione, che riceve dal mare risorse ed energia e sempre attraverso il mare raggiunge i luoghi dove poter commerciare i prodotti industriali. Questo ci fa dire che ogni investimento sulle attività marittime sono soldi ben spesi, sia perché contribuiscono in maniera importante al PIL del Paese con una quota pari al 9% del totale sia perché per ogni euro investito i ritorni sono moltiplicati per valori variabili da 1.2% a 2.8%. Gli ambiti in cui l’economia marittima si muove vanno dal turismo alla pesca, all’estrazione di risorse energetiche come petrolio e gas naturale, per poi passare all’area industriale, come i cantieri navali, e a quella infrastrutturale legata a porti, trasporti e studi di settore. Tutta questa realtà necessita di una Marina Militare che svolga il ruolo di collante, fornendo la difesa e il coordinamento tra le diverse parti. È necessario comprendere che non solo non può esistere un valore economico senza che esista una visione politica guidata da uno stato che pensi in grande e si ponga elevati fini e obiettivi, ma soprattutto che i cittadini siano a loro agio con il concetto di valore pubblico, cioè di qualcosa che è proprio della comunità nel suo complesso e che va difeso. 

Quando si parla di strategia si deve intendere, indipendentemente dalla aggettivazione cui il termine è affiancato, la presenza di tre elementi comuni:
– i fini che chiunque si pone di raggiungere;
– i mezzi a disposizione per ottenerli;
– la presenza di volontà avverse.

Strategia è quindi un processo di razionalizzazione (un loop di pensiero) tra i primi e i secondi (è perfettamente inutile avere fini elevati se non si è in possesso dei mezzi necessari a ottenerli ma, come si diceva nel punto precedente, lo Stato deve pensare in grande e non limitarsi al minimo indispensabile) in un contesto dove si scontrano volontà tra loro avverse. Se non esistono avversari, siano esseri umani, organizzazioni o la natura stessa, non si parla di strategia, ma semplicemente di pianificazione.

Quando si parla di Stati, la strategia che essi pianificano assume nomi diversi in funzione delle caratteristiche culturali. Si può parlare quindi di grand strategy, total strategy, national strategy o ancora, per noi italiani, di strategia globale. In tutti questi casi gli Stati fanno leva su tutte le possibili risorse di cui dispongono, siano esse immateriali o materiali. Di massima, la strategia globale di un Paese è fortemente condizionata da alcuni elementi che potremmo indicare come interni allo stato (non modificabili) o esterni (modificabili).

Tra quelli interni o propri dello Stato vanno considerati:

la posizione geografica e la presenza di zone off-shore
le caratteristiche fisiche del territorio (conformazione dei confini terrestri e marittimi) e la sua estensione
l’entità della popolazione
la storia e le tradizioni di un popolo
la disponibilità di risorse

Tra quelli esterni o modificabili vanno considerati:

il carattere della popolazione
le caratteristiche del Governo relativamente alla sua capacità decisionale, alla sua credibilità e alla sua stabilità
la capacità e produzione economica e, per quanto attiene la difesa, possedere un’industria cantieristica e della difesa d’avanguardia
la capacità di produrre energia in quantità tale da soddisfare le esigenze energetiche nazionali
la volontà di dotarsi di un’opzione di strategia globale che abbia nel mare il punto di riferimento

Questo ultimo punto è molto importante in quanto rappresenta l’essenza della valenza strategica dell’economia marittima per un paese.

Per chi ha studiato le esperienze del passato di alcuni stati come Atene, Cartagine, Venezia, l’Olanda, il Portogallo e la Gran Bretagna, è facile osservare che essi condividono alcune caratteristiche quali una spiccata identità marittima ed una maggiore attenzione al mare piuttosto che alla terra. Proverbiale era la volontà politica veneziana di proibire gli investimenti sulla terraferma e di autorizzare solamente quelli sul mare (questa volontà venne meno a partire dal ‘500 contribuendo alla decadenza della Serenissima). Ciò ha reso queste comunità molto ricche, capaci di ottenere un successo sproporzionato rispetto agli investimenti, ma soprattutto le ha rese dinamiche, culturalmente vive e attive, aperte, più libere degli stati coevi e inclusive e aperte alle esperienze altrui. Sono in sostanza Stati che Andrew Lambert chiama Sea Power State, tradotti dal CeSMar Potenze Marittime (ovvero comunità a connotazione marittima) per differenziarsi dalle potenze navali (Sea Power).

Per Lambert due sono i punti essenziali:

  • al centro della vita civica delle comunità marittime è posto il commercio e non l’egemonia o il desiderio di conquista, propri invece delle potenze navali;
  • qualsiasi stato non deve sentirsi condizionato dalla “inevitabilità geografica” ma può scegliere di cambiare la sua cultura “dalla terra al mare” se a guidare questo passaggio è una lungimirante scelta politica.

Una scelta politica di questo tipo è condizionata dagli interessi che lo stato persegue e soprattutto dai suoi obiettivi strategici. Gli interessi rappresentano le grandi scelte di politica estera e sono tesi a garantire la prosperità e la sicurezza dei propri cittadini e l’affermazione dei valori e la propria visione del mondo in un contesto di cooperazione o competizione con altri stati. Di massima, questi interessi sono immutabili e rappresentano il punto di partenza per la formulazione della politica di sicurezza e della conseguente strategia globale del paese.

Se volessimo elencarli li potremmo indicare come:

promozione dei valori, principi, cultura e prestigio dello Stato
mantenimento di un ordine sicuro per il Paese nel contesto internazionale a esso correlato
la promozione del benessere economico e sociale del proprio popolo

Dagli interessi nazionali derivano gli obiettivi strategici esprimibili come un’esplicitazione pratica e ben riconoscibile di cosa si voglia ottenere. Essi, a differenza degli interessi nazionali con cui spesso vengono confusi, possono variare nel tempo in funzione della situazione internazionale o delle scelte dell’opinione pubblica. Interessi nazionali e obiettivi strategici derivanti da essi si concentrano sulla volontà di provvedere alla sopravvivenza, alla sicurezza e allo sviluppo economico del Paese.

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Definizione di una Strategia marittima
Si è parlato di potenze marittime e navali ma, per essere tali, gli Stati devono definire una strategia marittima ovvero costruire la capacità dello stato di utilizzare il mare per perseguire i propri interessi. Ciò si ottiene sia costruendo l’hardware (le risorse necessarie) sia il software (le strategie operative). Nel primo caso abbiamo la realizzazione pratica della volontà politica di dotarsi di un potere marittimo, nel secondo si parla del suo corretto impiego operativo.

L’hardware è chiamato potere marittimo e rappresenta la realizzazione pratica della volontà nazionale di proiettare le sue Forze Armate e i suoi interessi commerciali sui tratti di mare che dividono lo stato dai territori ai quali è necessario avere accesso. È quindi un obiettivo strategico da raggiungere nella sua completezza, che vede le risorse come pensiero, mezzi, uomini, logistica e gestione al centro delle azioni dello stato. Una costruzione complessa nella quale ogni elemento è importante, se non essenziale, in quanto il potere marittimo rappresenta il prodotto di più fattori e, se uno di essi è zero, anche il prodotto è nullo.

Da qui si vede bene come la strategia marittima di uno Stato sia un’opzione di strategia globale del paese che deve coinvolgere più aspetti e non può limitarsi a una sola flotta e agli equipaggi per manovrarla. Le risorse necessarie sono quindi il frutto di una scelta culturale effettuata da una classe politica lungimirante e che pensa in grande, che decide di investire sul mare per l’elevato valore strategico che esso rappresenta. Aver investito sul mare e sulle risorse necessarie a possedere un potere marittimo non è sufficiente, se questo potere non viene impiegato o viene impiegato male. Ecco l’importanza di una consolidata tradizione, di una efficace pianificazione strategica e soprattutto di una guida politica coraggiosa.

Solo così il loop, si chiude ottenendo come premio il raggiungimento di una florida economia, la disponibilità di risorse, l’influenza politica, una capace dissuasione militare (hard-power), un’efficace diplomazia (soft-power), ricchezza e cultura, stabilità sociale e resilienza. Tutto ciò è possibile se la potenza marittima rimane tale concentrandosi sui commerci e non sull’egemonia. Se essa dovesse diventare egemonica o imperialista (abbandonando il mare per la terraferma) perderebbe di vista gli obiettivi strategici e si avvierebbe alla decadenza. Il loop appena discusso è ben rappresentato dal grafico in figura, derivante dal pensiero di Angelo Ginocchietti, ufficiale di Marina che sviluppò il suo pensiero tra le due guerre mondiali. Il grafico, modificato per renderlo attuale al pensiero del CeSMar, è il frutto di un lungo lavoro di approfondimento.

Come si può facilmente notare, l’industria per la difesa è collocata nelle risorse indispensabili alla costruzione del potere marittimo. In particolare, la cantieristica è parte di quella che viene chiamata la strategia dei mezzi, mentre l’industria tecnologica è parte di quella che viene chiamata strategia dei sistemi. Se allarghiamo il campo ad altri aspetti, si potrebbe dire che l’industria della difesa opera anche nel contesto della risorsa costa attraverso la costruzione di un sistema gestionale e logistico, indispensabile premessa al ruolo fondamentale di sostegno alla flotta ben indicato in uno dei comparti della strategia operativa e ha quindi un indispensabile valore strategico, senza il quale il potere marittimo non esisterebbe e non potrebbe operare con successo.

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Concludendo, potremmo confermare che gli investimenti sull’economia marittima sono frutto di una perfetta integrazione tra mondi economico, politico e militare. Pianificare lo strumento navale e marittimo necessari al nostro Paese è possibile qualora vi sia una spinta volontà politica di guardare al mare piuttosto che alla terraferma.

Il mare rappresenta una grande opportunità per l’Italia e la Marina Militare rappresenta il fondamentale elemento di guida, protezione e sviluppo economico.  

Roberto Domini
Centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima (CeSMar)

Questo saggio è parte dell’intervento: «Economia e valore strategico dell’industria nazionale nel contesto geopolitico attuale» effettuato dal CeSMar all’Industry Day organizzato dall’AIAD il 20 aprile 2023.

 

photo credit @marina militare italiana

 

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