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BRICS e dintorni – il legante della marittimità

tempo di lettura: 8 minuti

 

livello elementare

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ARGOMENTO: GEOPOLITICO
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: BRICS, geopolitica del mare, III millennio

 

L’inizio del 2000 fu caratterizzato da un’auge senza precedenti delle relazioni commerciali e della produzione di beni e servizi. Il mercato diventò globale ma non certamente stabile e la produzione di beni e servizi non restò confinata all’interno dei confini dello Stato-nazione. La “liberalizzazione senza limiti” dei mercati ha portato a una progressiva riduzione delle barriere commerciali, in un quadro di forte riduzione dei costi di trasporto, di quelli delle comunicazioni e dei servizi.

Facilità e abbondanza di comunicazioni, disponibilità di nuove tecnologie rendono possibile coordinare in tempo reale attività fisicamente distanti l’una dall’altra. La trasformazione del sistema di produzione e comunicazione industriale favorisce la frammentazione dei processi produttivi e conseguentemente la delocalizzazione dei sistemi di produzione o di parti di essi in paesi lontani.

È un sistema che funziona in reti che si associano o si sovrappongono senza nessun vincolo o limite rispondente alla tradizionale suddivisione territoriale. Queste reti sono di portata planetaria e il sistema si fonda su un sistema gerarchizzato di nodi e di punti di contatto che svolgono un ruolo determinante di funzionamento caratterizzando il trasporto marittimo, quello aereo, le piazze finanziarie, le telecomunicazioni. In questo nuovo, articolato e complesso quadro economico globale emergono le cosiddette potenze geoeconomiche, e in questo contesto è importante seguire il percorso di quelle che si raggruppano nell’acronimo BRICS: Brasile, Russia, India, Cina, e Sudafrica.

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Questi Paesi sono accomunati da alcune caratteristiche in comune: la marittimità o comunque il facile collegamento marittimo, la condizione di economie in via di sviluppo, una popolazione numerosa, un vasto territorio e abbondanti risorse naturali strategiche, commodities, una forte crescita del PIL e una sempre maggiore quota di penetrazione nel commercio mondiale.

Nel complesso i paesi appartenenti ai BRICS rappresentano oltre il 42% della popolazione mondiale, il 25% della totale e stensione della Terra, il 20% del PIL mondiale, e circa il 16% del commercio internazionale. Le differenze tra questi cinque paesi sono enormi, ma perseguono gli stessi obiettivi: consolidamento regionale, riconoscimento quali interlocutori di livello primario, investimenti in altri continenti, creazione di una rete economico-politica. Esistono altri gruppi geoeconomici interessanti, quali ad esempio SCO, Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, un raggruppamento multilaterale guidato dalla Cina che comprende anche Russia, India e molti paesi del continente asiatico. Essa lega e sovrappone gli interessi attraverso il vincolo delle frontiere comuni, una organizzazione che molti esperti internazionali considerano qualcosa di molto simile a un’alleanza geostrategica. Un’organizzazione che nata da un’esigenza prettamente militare (le tensioni alle frontiere) si è evoluta nei suoi più che vent’anni di esistenza (è stata fondata il 14 giugno 2001), concentrandosi su logistica, energia, sicurezza alimentare e ambientale, innovazione, trasformazione digitale ed economia verde.

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2023  BRICS SUMMIT a Johannesburg (Sud Africa) – da sinistra, il presidente del Brasile Lula da Silva, il presidente della Cina Xi Jinping, il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa, il primo ministro dell’India Narendra Modi e il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, in una foto ufficiale durante l’incontro dei leader BRICS, a Johannesburg, in Sud Africa, il 22 agosto 2023. Fonte Ufficio del Primo Ministro Licenza governativa Open Data – India
2023 BRICS Summit family photographs.jpg – Wikimedia Commons

Uso delle commodities come arma strategica
La caratteristica di queste organizzazioni, regionali o globali, è che “tutti quante” sono ambite come partner e sono posizionate a livello globale grazie a risorse, alle capacità tecniche e tecnologiche e alle capacità / opportunità di investimento. Sempre a titolo di esempio, va ricordato come all’interno possano essere presenti spinta concorrenza se non conflittualità, come nel caso di Cina e India che hanno problemi sia di confine, sia di appartenenza a blocchi strategici marittimi in opposizione (QUAD per l’India). Esistono poi politiche verso l’Africa che cedono la Cina investire in maniera massiccia nella costruzione di infrastrutture, mentre l’India tende a creare un canale di credito agevolato per gli Stati africani in cambio di diritti di esplorazione petrolifera e sfruttamento di giacimenti carboniferi per far fronte al suo bisogno energetico.

Se da un lato co-esistono una evidente competizione in Africa e una rivalità geopolitica in Asia, entrambi gli stati guardano a modelli alternativi a quelli proposti dall’occidente soprattutto perché memori delle esperienze storiche che a partire dal ‘700 le hanno messe ai margini del commercio mondiale.

Se la Cina viene oggi guardata (soprattutto dagli USA) con diffidenza, l ’India appare molto abile nelle sue strategie che sembrano vederla vincente e ricercata come partner strategico. I Cinesi hanno, a partire dal 2013, puntato a incrementare il proprio peso e la propria influenza promuovendo con successo la Belt and Road Initiative che ha spiazzato concorrenti e avversari (un successo inziale per quanto riguarda l’Europa, con l’Italia elemento debole e ambiguo). Le ragioni che hanno portato all’avversione di tale progetto da parte statunitense (sin dall’inizio per voce del Segretario di Stato Hillary Clinton) sono legate sia agli effetti di lunga durata che la Belt and Road Initiative potrebbe avere sul continente euro-asiatico, sia che questo progetto potrebbe portare alla possibile unione euroasiatica e quindi alla formazione di un heartland unificato in grado di dominare il mondo (così come MacKinder suggerisce).

È interessante però notare come nel saggio di Gal Luft il gioco infrastrutturale della Cina, pubblicato su Foreign Affairs di settembre – ottobre 2016, l’autore ritenga che la Belt and Road Iniative sia in qualche modo legata agli USA: “Il “riequilibrio”, o “perno”, per l’Asia voluto dal Presidente degli USA Barack Obama, avviato nel 2011 si è rivelato vano, ma ha comunque rafforzato il senso di accerchiamento della Cina da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, così come l’esclusione di fatto della Cina dal Partenariato Trans-Pacifico da parte dell’amministrazione Obama. Tali azioni hanno ucciso molte delle ambizioni della Cina nel Pacifico, portando Pechino a cercare opportunità strategiche ad Ovest.

Tornando a focalizzare i BRICS, scelti per il legante marittimo, non va dimenticato che la Cina (insieme al Giappone) è il primo detentore straniero di titoli del debito pubblico americano (già alla fine del 2009 la Cina deteneva 2.400 miliardi di valuta estera e una grossa fetta del debito USA per un valore superiore ai 300 miliardi di dollari). Questa tipologia di investimento “piace” ed è condivisa anche da altri paesi del BRICS, come il Brasile, posizionato al 4^posto.

Ciascuno dei membri del BRICS si muove comunque in forma autonoma per sempre nuove aggregazioni, in una continua ricomposizione del potere geoeconomico, per esempio:

− il Brasile, sempre alla ricerca del riconoscimento di riferimento unico globale per l’America latina, nel 2003 propone la costituzione dell’IBSA o G3, che vede la partecipazione di India e Sudafrica, allo scopo di rendere più agevoli gli scambi Sud-sud del mondo.

− il Sudafrica che a sua volta ambisce al ruolo di riferimento e potenza regionale, promuove accordi bilaterali economici, politici e anche difensivi non solo in Africa ma soprattutto sui due lati degli oceani di cui è spartiacque.

− la Russia inizialmente faceva leva su questa adesione per giocare il suo rilancio a soft power globale grazie alle sue grandi riserve di gas naturale (con il punto di arrivo del Blue Stream North Stream 2 per erogarlo) e ai progetti di produzione di energia atomica per uso civile, mentre oggi nella nuova convocazione del BRICS si trova a rincorrere un ruolo, comunque in ombra della Cina.

− La Cina, che gioca su vari piani, da quello politico dell’anticolonialismo e dei successi economici e sociali di paese sempre riconosciuto “in via di sviluppo”; secondo gli standard economici adottati e riconosciuti anche dalla OMC, una condizione molto comoda che ha garantito vantaggi competitivi importanti, riducendo i dazi commerciali, i costi di produzione, gli obblighi di tagliare le emissioni di gas serra, ecc.. La Cina esprime una politica economica ambigua, ma opportuna e strumentale che le permette (malgrado una politica espansionista e di assoggettamento con una inflessibile strategia del debito) di distinguersi dagli “antichi colonialisti” e di sedersi nel BRICS e nel “Sud del mondo” come leader indiscusso.

La Cina vuole e deve essere una potenza militare perché non è ancora una potenza industriale ed economica, nell’accezione che si dà a questi termini: malgrado la cortina di propaganda e disinformazione, è una macchina consolidata ed efficientissima creata in “campo avverso”.

Molti analisti concordano oggi sulla fragilità interna della Cina, sulla politica di Xi; non si può certo parlare di gigante dai piedi di argilla ma certamente il futuro della Cina si gioca su un diverso dinamismo interno: espansionismo, creatività e aggressività sono certamente i perni della politica estera cinese, ma servono ancor più per superare le crisi interne, e non è detto che siano gli antidoti corretti. Trattando dell’altro protagonista, peraltro “ospite scomodo”, focalizzando un particolare molto significativo del recente passato, all’inizio del secolo l’obiettivo principale della Russia era il consolidamento di buoni rapporti con la vicina UE, in un quadro di contiguità, riconoscimento indispensabile per recuperare le sue tradizionali posizioni strategico -politiche.

Vicinanza fisica e contiguità se non comunanza di programmi e obiettivi che la Russia era restia a giocare con la Cina (e, forse, sarebbe ancora restia a rendere definitivi) ma a cui è stata costretta, oggi quasi in subordine, per la mossa intempestiva dell’aggressione all’Ucraina. Andrebbe anche ricordato poi che la Germania, grazie ad ambizioni parallele se non in alcuni casi condivise, ha cercato un avvicinamento e un nuovo patto, una politica non certo di condivisione e coerenza comunitaria europea, con i BRICS, costituendo così il gruppo BRICS+G, che oltre a uno specifico ruolo economico e commerciale, esercita un chiaro indirizzo politico internazionale e di modalità di intervento nelle aree in conflitto.

Un orientamento opportunisticamente condiviso, e forse persino strumentalizzato, come chiaramente emerso in occasione delle Primavere arabe e molto più in occasione dell’adozione della Risoluzione n. 1973 (marzo 2011) del Consiglio di sicurezza sulla Libia, adottata con 10 voti favorevoli e le determinanti astensioni di Russia, Cina, Brasile, India e Germania.

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Una Alleanza economica strategica con forti implicazioni politiche in campo marittimo … in un Occidente che sembra incapace di fornirte un’alternativa, saranno i futuri padroni del mondo? – Autore Foto Diego Campos / Ministerio das Comunicaoes -Fonte Reunião anual de ministros das Comunicações do Brics  Reunião anual de ministros das Comunicações do Brics (53100105108).jpg – Wikimedia Commons

I BRICS+G, con specifiche differenze soprattutto a livello di ambiti regionali, condividono in generale l’idea di non intervento militare nelle aree di crisi, a cui si affianca la proposta di un’azione di aiuto economico per le parti in conflitto. Nel 2014, a Fortaleza, il gruppo dei BRICS propone la creazione di una propria banca (New Development Bank–NDB) alternativa alla Banca Mondiale nella concessione di finanziamenti a medio – lungo termine in ambito infrastrutturale, segno di un distanziamento e di una certa insofferenza verso le politiche attuate dalla prima, marcando un terreno di gioco diverso da quello statunitense (posizione ambigua ma molto redditizia per la Germania).

In definitiva, tutti questi Paesi, emersi e consolidatisi grazie alla liberalizzazione totale dei mercati, almeno in teoria si oppongono a ogni forma di protezionismo economico e sostengono il dialogo internazionale; in realtà tutti, chi più chi meno, necessitano di tempo per consolidare le proprie economie, potenziare le capacità tecnologiche, migliorare l’accettabilità e la capacità di persuasione, migliorare le condizioni socioeconomiche interne e, infine, mettere a punto le capacità difensive. Quest’ultimo punto, come sanno bene sia i Tedeschi che i Cinesi, più che un obiettivo, con l’evolversi della situazione internazionale globale è diventato una necessità volta a proteggere in primis i propri interessi finanziari e commerciali.

Resta da sottolineare che i BRICS non hanno di massima confini tra loro e le rotte commerciali marittime rappresentano l’elemento di unione e scambio. È chiaro quindi che l’attenzione ai problemi marittimi dovrà diventare centrale alle politiche del gruppo se desidera avere un ruolo importante nell’economia mondiale. Dagli incontri che si svilupperanno nel vertice di Johannesburg possiamo aspettarci che il mare sarà argomento di discussione e di attenzione.

Giancarlo Poddighe

 

pubblicato originariamente su La Bussola – CESMAR (CENTRO STUDI DI GEOPOLITICA E STRATEGIA MARITTIMA) – rubrica sotto la diretta responsabilità della sezione geopolitica del Centro Studi. La riproduzione, totale o parziale, è autorizzata a condizione di citare sempre la fonte.
La Bussola – CESMAR – Centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima Circolo Fratelli Bonaldi

 

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